Da Il Messaggero del 29/10/2004

Dal sogno alla realtà per 450 milioni di europei

di Paolo Cacace

Approfondimenti / DOSSIER


 
I 25 Stati membri siglano a Roma il Trattato
L'Europa firma la Costituzione

L'Europa ha firmato la sua Costituzione. I rappresentanti dei 25 Stati membri hanno siglato il Trattato che, una volta ratificato dai governi nazionali, sancirà diritti doveri e regole dei cittadini dell'Unione Europea.
IL MOMENTO è storico. Al di là e al di sopra della volontà dei protagonisti. Appena un paio di anni fa la possibilità che i popoli d’Europa riunitisi sotto la stessa casa dopo il collasso del comunismo si legassero ad una Costituzione europea era considerata un’utopia o poco più. Non va dimenticato, infatti, il lungo silenzio che accompagnò la famosa “dichiarazione d’Agrigento”, con cui nel giugno del 2000 Carlo Azeglio Ciampi e il collega tedesco Johannes Rau, veri e propri precursori, lanciarono per primi l’idea di una Magna Charta europea. Poi, a fatica, passo dopo passo, le riserve e le remore sono state superate. Dal Trattato di Nizza al “mandato di Laeken” scaturì la Convenzione presieduta da Giscard d’Estaing che partorì il primo testo costituzionale. Nel dicembre scorso a conclusione dello sfortunato semestre di presidenza italiana dell’Ue ci fu un’altra repentina frenata: l’ambizioso disegno sembrò naufragare. Poi i cocci sono stati pazientemente ricomposti. Ha prevalso tra i venticinque governi europei la convinzione di dover comunque sottoscrivere il “Grande Accordo”. Il sogno accarezzato dagli europeisti più ispirati, come il nostro Capo dello Stato, si avvera. Ma è inutile negarlo: la Carta europea arriva sgualcita e rattoppata al sospirato traguardo della firma in Campidoglio. Tra mille incognite e riserve. E lo spettacolo offerto a Strasburgo dal neo-presidente della Commissione, Barroso, costretto ad una precipitosa retromarcia per evitare una clamorosa bocciatura della sua squadra proprio alla vigilia della firma del Trattato, non rappresenta un viatico incoraggiante. L’intero impianto costituzionale sottoposto a continui “maquillage” per neutralizzare le critiche dei Paesi meno europeisti è nettamente peggiorato rispetto al testo licenziato dalla Convenzione. Troppi sono i campi in cui resta inalterato il diritto di veto dei singoli Stati (fisco, giustizia, politica estera) e anche la possibilità di procedere comunque a maggioranza qualificata (attraverso la cosiddetta “doppia maggioranza”) è macchinosa e di difficile attuazione.

Ma l’incognita principale riguarda il “dopo”. Apposta la firma in calce al Trattato, i venticinque capi di Stato e di governo dovranno convincere a seconda dei casi i rispettivi parlamenti o le rispettive opinioni pubbliche a ratificarlo. C’è chi ha scelto la via della ratifica parlamentare come la Germania e l’Austria. Chi invece ha optato per la via referendaria come la Francia, la Gran Bretagna, la Danimarca, la Spagna, il Portogallo e la Polonia. I maggiori dubbi vengono, naturalmente, dall’esito del voto in Gran Bretagna, dove c’è una forte maggioranza contraria all’integrazione europea, e anche in Danimarca e in Francia dove si sta coagulando una massiccia opinione “euroscettica”.

Quanto all’Italia il nostro governo anche per recuperare terreno dopo le non felici figure accumulate recentemente sullo scenario europeo sembra intenzionato a bruciare i tempi con una ratifica parlamentare-lampo. Ma sarà così? I contrasti all’interno della maggioranza non mancano e la Lega, neanche a dirlo, frena e vuole un referendum.

E’ evidente che il rischio di paralisi del Trattato è enorme e concreto. Un eventuale “no” britannico o francese farebbe “tabula rasa” di tutte le conquiste di oltre mezzo secolo d’integrazione e farebbe tornare l’Europa all’anno zero. Per questo motivo c’è chi comincia a ragionare su come superare l’eventuale bocciatura della Costituzione europea da parte di uno o più Paesi membri.

La parola d’ordine sembra essere: bisogna andare avanti ugualmente. Mario Monti ha avanzato una proposta precisa. In caso di voto popolare negativo il Paese interessato dovrebbe lasciare del tutto l’Unione. Altri puntano sulle cosiddette “cooperazioni rafforzate” sostenendo che già in un’Europa a venticinque, con oltre 450 milioni di abitanti, è impossibile procedere tutti allo stesso ritmo. Figuriamoci poi se dovesse concretarsi, in un futuro più o meno prossimo, l’adesione della Turchia. Quindi bisogna immaginare un’Unione a cerchi concentrici in cui vi siano delle “avanguardie aperte” disposte a sottoscrivere forme più avanzate d’integrazione. Ma resta il fatto che un’Europa senza Francia o Gran Bretagna sarebbe difficile da prefigurare. In realtà, ha ragione Giuliano Amato quando sostiene che «questa Costituzione non è proprio quel che volevamo, ma certo è più di quello che avremmo se rimanessimo senza». Accontentiamoci di questo passo in avanti. Ora quel che serve è agire concretamente per scongiurare il rischio di defezioni. E c’è una sola via praticabile. Far sì che l’Europa esca dalle nebbie in cui è avvolta e acquisti finalmente una fisionomia, un’identità comprensibile per tutti. In altri termini: avvicinare l’Unione ai propri cittadini, fare entrare le istituzioni nelle coscienze europee. Questo significa fare esattamente il contrario di quanto molti governi hanno fatto sinora. Significa far capire che l’Europa non è soltanto il noioso “burocratese” di Bruxelles. Ad esempio, che l’Unione può combattere e vincere battaglie per l’ambiente, per la vivibilità del pianeta, per la scuola. E soprattutto che dopo aver realizzato il miracolo della moneta unica è in grado di parlare con una voce unica di fronte alle grandi sfide della politica internazionale.

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