Da Corriere della Sera del 11/03/2004

Il risultato di quattro mesi di appostamento verso uno spicchio di cosmo oggi senza stelle

Foto dell’universo bambino

Il telescopio spaziale Hubble ha ripreso le prime galassie nate dopo il Big Bang

di Giovanni Caprara

E’ lo sguardo più lontano che l’uomo sia riuscito a lanciare tra le stelle, ma è anche uno straordinario viaggio nel tempo verso le nostre origini, le origini dell’Universo. «Siamo arrivati all’ultimo muro oltre il quale non vedremo più nulla» commenta soddisfatto e con un pizzico di mistero Massimo Stiavelli, l’italiano che allo Space Telescope Science Institute di Baltimora, negli Stati Uniti, ha guidato la rocambolesca operazione nelle profondità cosmiche. Per quattro mesi gli astronomi hanno puntato il telescopio spaziale Hubble in orbita intorno alla Terra verso uno spicchio di cielo dieci volte più piccolo della Luna, nella costellazione della «Fornace», raccogliendo la luce visibile e quella infrarossa.

Risultato: una fotografia dell’universo in un momento della sua infanzia, quando erano trascorsi appena tra i 400 e gli 800 milioni di anni dal Big Bang, il grande scoppio da cui tutto nacque circa 14 miliardi di anni fa.

E nel piccolo angolo di cielo che scrutato da Terra mostrava il vuoto Hubble ha ripreso diecimila galassie, una specie di zoo cosmico popolato da forme e colori diversi.

«Mai ci siamo spinti tanto distante - spiega Stiavelli - e ciò che vediamo sono le prime galassie appena formate o che ancora si stanno coagulando in isole stellari. E’ un momento eccezionale per la storia dell’universo. Si è appena usciti dall’epoca buia dove lo spazio era riempito dal gas sprigionato dal big bang ormai raffreddato. Pian piano, grazie alla forza gravitazionale, gli astri si formano e l’universo torna a riscaldarsi. Ora abbiamo colto le prime fasi del riscaldamento. E se guardassimo ancora più lontano nel tempo non vedremmo quasi nulla perché ancora niente esisteva, se non appunto le particelle gassose e i primi astri isolati. Perciò l’abbiamo definita la fotografia dell’ultimo muro osservabile che mostra un universo caotico dal quale emergono le prime grandi strutture e i primi tentativi di ordine».

Oltre tale limite c’è ancora il mistero e solo strumenti più potenti potrebbero svelarlo. «Non sappiamo, ad esempio - dice Stiavelli - come la gravità abbia agito innescando la nascita della materia stellare. E questo ce lo potrà dire il futuro telescopio spaziale Webb all’infrarosso che la Nasa sta costruendo e che sarà lanciato entro il decennio». Ma per Hubble, Stiavelli stava lavorando da sette anni su un nuovo strumento che lo avrebbe reso ancora più potente consentendo un altro passo avanti. Doveva essere installato con una missione dello shuttle ora cancellata per ragioni di sicurezza dopo il disastro del Columbia nel febbraio dell’anno scorso. L’astronomo italiano racconta quindi la sua storia con un filo di amarezza pensando anche alle perdute opportunità. Stiavelli, 43 anni, è un veterano dell’Istituto di Baltimora. C’è arrivato ancora nel 1995 dopo una lunga esperienza prima di teorico («Ho studiato alla Normale di Pisa», ricorda) e in seguito con i telescopi europei dell’Eso ( European southern observatory ) in Cile.

«E’ una scoperta importante che darà lavoro per molti anni a tutti gli osservatori a terra, nello spazio e a tutte le lunghezza d’onda osservabili - nota Duccio Macchetto, un altro scienziato italiano, direttore scientifico dell’istituto di Baltimora -. Una nuova finestra si è aperta, nella quale possiamo raccogliere tasselli fondamentali dell’evoluzione cosmica. E Hubble dimostra che sbagliano coloro che alla Nasa lo ritengono ormai finito. Nessun altro strumento può ancora competere con la potenza del suo occhio e dei suoi sensori».

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