Da La Repubblica del 10/08/2003

Dopo anni di polemiche, l’esecutivo accoglie il ruolo della terapia retrovirale nella lotta all’epidemia e sblocca così i fondi Onu

Aids, la svolta del Sudafrica

Il governo decide di accettare i farmaci delle case occidentali

di Francesca Caferri

UNA rivoluzione copernicana. Si può definire così il comunicato arrivato a sorpresa venerdì sera, con cui il governo del Sudafrica annuncia il capovolgimento totale della sua politica di lotta al1’Aids. La nota spiega che entro la fine di settembre il ministero della Salute metterà a punto un piano per fornire a tutti i sieropositivi farmaci retrovirali, gli unici in grado fino a questo momento di bloccare lo sviluppo dell’Aids. In un’unica mossa Pretoria ammette dunque due cose su cui aveva finora mantenuto una posizione ambigua: che i farmaci retrovirali sono efficaci per combattere la malattia e che spetta al governo fornirli alla popolazione contagiata dall’Hiv.

«Il governo – recita il comunicato – condivide l’impazienza di molti sudafricani riguardo alla necessità di potenziare l’impegno del paese nella lotta contro 1’Aids». Per spiegare il peso di queste parole bastano pochi dati: il Sudafrica è il paese al mondo con il più alto numero di malati di Aids: circa 5 milioni di persone, l’11 per cento dei 43,8 milioni di abitanti secondo le Nazioni Unite sono sieropositive: 600 di loro muoiono ogni giorno; 660mila bambini sono orfani a causa della malattia. Quattro generazioni sono il lasso di tempo calcolato dalla Banca mondiale perché il paese arrivi a «un vero collasso economico» se non riuscirà a fermare l’epidemia.

Un quadro drammatico, di fronte al quale fino a questo momento la risposta del governo era stata quasi del tutto insufficiente: in passato il presidente Thabo Mbeki e il suo ministro per la Salute Manto Tshabalal-Msimang, hanno più volte messo in dubbio il legame fra il virus dell’Hiv e l’Aids. «Usate la medicina tradizionale e mangiate aglio, cipolle e patate sudafricane per fermare la malattia», è arrivata a dire il ministro. Posizioni estreme, che nascondo sia una diffidenza per la medicina di stampo occidentale che preoccupazioni di carattere economico: secondo gli esperti, il piano per i retrovirali costerà alle casse di Pretoria fra i 2,3 e i 2,8 miliardi di dollari l’anno, una cifra elevatissima per un paese che sta ancora combattendo con le disparità ereditate dagli anni dell’apartheid.

Ma nei giorni scorsi sono arrivate due notizie che, insieme alla scelta del governo, potrebbero segnare il vero spunto di svolta nella lotta alla malattia in Sudafrica: l’esecutivo ha concluso il braccio di ferro che da quasi due anni lo opponeva ai rappresentanti del Globalfund – il fondo Onu contro 1’Aids – e accettato di destinare i soldi del fondo direttamente ai progetti interessati consentendo anche l’acquisto di retrovirali. Sono stati così sbloccati finanziamenti per 4 i milioni di dollari destinati al Sudafrica. Quasi contemporaneamente Aspen, il maggiore produttore di medicine generiche del continente, ha annunciato il lancio del primo retrovirale made in Africa, un farmaco generico – cioè creato con gli stessi principi attivi delle medicine dei grandi gruppi farmaceutici – che una volta messo a punto renderà molto più economiche le cure anti-Aids.

Tutti buoni motivi per festeggiare per i sieropositivi: «Per tutti noi che viviamo con l’Hiv in Sudafrica e per le nostre famiglie questo è il primo vero segno di speranza», ha detto Zackie Achmat della Tac (Treatment Action Campaign), associazione che si batte per garantire l’accesso ai farmaci a tutti i sieropositivi sudafricani e che si è duramente scontrata con il governo stilla questione dei retrovirali. «Da questo punto in avanti non si può più tornare indietro», ha spiegato Eric Goemaere, rappresentante per il Sudafrica di Medici senza frontiere.

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