Da La Repubblica del 09/07/2000
Originale su http://www.repubblica.it/online/mondo/aidsdurban/aidsdurban/aidsdurban...

Si apre a Durban la conferenza internazionale sulla lotta all'epidemia che qui fa strage

L'Aids schiaccia l'Africa. La nuova sfida da vincere

di Emanuela Audisio

DURBAN - Non aveva colore, oggi ce l'ha. Per Edgar Allan Poe la peste del suo secolo era la Maschera Rossa, la nostra oggi si chiama la Morte Nera. E' il nuovo soprannome dell'Aids in Africa, del virus che qui si è già mangiato 11 milioni di persone e che continua ad aver fame. Le cifre sono da horror: nei prossimi dieci anni 40 milioni di bambini africani resteranno orfani per colpa dell'Aids, è come se un paese come l'Italia perdesse i genitori, come se le parole padre e madre non avessero più senso, perché nessuno più risponderebbe a quel nome. Dei 34 milioni di sieropositivi, 24,5 sono africani, condannati ad assere zombie fino alla morte, perché non ci sono soldi per le cure, perché non c'è posto negli ospedali.

In Botswana l'età media di vita è crollata a 41 anni. Non si tratta di una malattia, ma di una catastrofe. Rischia di fare più morti di tutte le guerre, la prima, la seconda, la Corea e il Vietnam, messe insieme. Oggi la XIII conferenza internazionale sull'Aids ci dirà che l'Africa è il continente più colpito dell'Aids, che la sua demografia è impazzita, che numerosi paesi sub-sahariani perderanno un quarto della loro popolazione nei prossimi dieci anni, che non c'è più tempo, che bisogna far presto.

Il virus si porta via non solo l'affetto e i sentimenti, ma anche la manodopera importante per l'economia: gli uomini che lavorano, la donne che faticano nei campi, i bambini che danno una mano. L'Africa diventerà un paese di neonati e di vecchi, con niente in mezzo. Con un'aspettativa di vita nel 2005 di appena 46,6 anni.

Un sud del mondo tradito dal grande nord che ha combattuto con fierezza l'Aids uando i malati erano il grande attore, il grande ballerino, il grande cantante e che ora se ne frega di un continente povero e disperato, anche perché nei paesi sviluppati l'emergenza Aids non esiste più, esiste una malattia cronicizzata, che come il diabete può essere tenuta sotto controllo.

Un sud del mondo tradito anche da se stesso, dalla sua cultura, dalla sua sospettosità. Quando c'era ancora tempo l'Africa ha creduto che tutte quelle storie sull'Aids erano solo "per impedire a noi neri di fare figli e di moltiplicarci più dei bianchi", in questo Sudafrica persino Mandela è stato molto timido nell'impostare una campagna contro il virus, anche perché come disse la signora Olive Shisana, direttrice del dipartimento della salute "l'Aids è una preoccupazione dei gay occidentali" e come dice ora Zweli Mkhize, ministro della Sanità dell'Anc nella regione del Natal "in questo paese c'è molto risentimento contro la tradizione dei bianchi che ci dicono cosa fare dei nostri corpi".

E come racconta Florence Ngobele, sieropositiva, che sei anni fa ha perso la figlia di Aids: "Il governo non fa niente per noi, sostiene che non ci può aiutare. A volte mi chiedo: ci hanno dato la libertà solo per vederci morire?". Oggi verrà il presidente del Sudafrica, Thabo Mbeki, ad inaugurare il congresso che per la prima volta sbarca in Africa, proprio lui da sempre molto scettico sul fatto che il vero nemico sia l'Hiv.

E 5000 studiosi di tutti il mondo ribadiranno in un documento per governanti e studiosi dissidenti: "Il virus Hiv è la causa dell'immunodeficienza acquisita, diminuire la sua velocità di diffusione è possibile".

Verrà anche il popolo di Seattle, il Tac (Treatment Action Campaign), sostenuto da 230 movimenti di 33 paesi a marciare contro il prezzo alto delle cure anti-Aids, contro le multinazionali farmaceutiche che fanno pagare i loro brevetti, perché è chiaro che la sanità sudafricana che ha un budget pro-capite di 10 dollari l'anno non può permettersi i 10 mila dollari della terapia anti Hiv.

Anche se la quasi totalità dei sieropositivi in Africa non conosce la sua condizione, non ci sono medici, né dispensari farmaceutici o frigoriferi per conservare le delicate composizioni salvavita e nemmeno la pazienza di ingollare più di 20 pillole al giorno ad orario stabilito. E chissà forse verrà anche Elisabeth Taylor che non ha mai fatto mancare il suo appoggio, anche se queste vittime poco hanno a che fare con i suoi amici artisti.

Non sarà un congresso dalle strepitose novitàscientifiche, quell'euforia è passata, si parlerà soprattutto della messa a punto di protocolli terapeutici che aiutino a frenare la diffusione del virus e ad allungare la sopravvivenza delle persone già malate. Il simbolo di questo congresso è un tamburo, lo slogan è "rompere il silenzio". Il tam- tam dovrebbe attraversare le foreste, scavalcare le montagne, raggiungere i villaggi, sconfinare nelle baraccopoli, arrivare nelle metropoli, farsi sentire in un paese dove l'85 per cento delle persone dichiara di non sapere come si trasmette l'Hiv e dove solo il 10 per cento ammette di aver usato il profilattico nell'ultimo rapporto.

Se ieri a Roma il Gay Pride ha festeggiato il suo sbarco nel vecchio mondo, da oggi a Durban si celebrano i successi della Morte Nera, di una "nostra" Africa che ora è solo "loro".

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di André Picard su The Globe and Mail del 18/08/2006
 
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