Da Reuters del 29/08/2006
Originale su http://today.reuters.it/news/newsArticle.aspx?type=topNews&storyID...
Libia: procura chiede pena di morte contro medici su caso Hiv
TRIPOLI - Un procuratore libico ha chiesto oggi la pena di morte per le cinque infermiere bulgare e il medico palestinese accusati di aver volontariamente inoculato il virus dell'Hiv, che causa l'Aids, in più di 400 bambini.
"Fu un atto crudele, criminale e inumano. E' una catastrofe umana", ha dichiarato il procuratore Omar Abdulkhaleq davanti al tribunale di Tripoli, aggiungendo che 53 dei 430 bambini contagiati sono poi deceduti. "Chiediamo la pena di morte per gli imputati".
In occasione del loro primo processo, le infermiere e il medico erano stati riconosciuti colpevoli di aver intenzionalmente inoculato alla fine degli anni 90 il virus dell'immunodeficienza umana (Hiv) in 426 bambini, all'epoca in cui lavoravano all'ospedale di Bengasi.
Condannati a morte, i sei erano sfuggiti all'esecuzione grazie a una sentenza della Corte suprema che aveva ribaltato la sentenza, rinviando il processo a un secondo tribunale, che ha iniziato i suoi lavori a maggio.
Le cinque infermiere bulgare, Snezhana Dimitrova, Nasya Nenova, Valentina Siropolu, Christiana Valcheva e Valia Cherveniashka, e il medico palestinese Ashraf Alhajouj, detenuti dal 1999, hanno costantemente respinto le accuse a loro carico.
Il procuratore Abdulkhaleq ha sostenuto in aula che i sei avevano commesso anche altri reati, come l'acquisto e la vendita di alcol e rapporti sessuali extraconiugali, illegali in Libia. Accuse respinte dagli imputati.
Il procuratore ha aggiunto, senza fornire dettagli, che 20 mamme avrebbero contratto il virus allattando i bambini sieropositivi.
Gli imputati hanno affermato, durante il secondo processo, che le loro confessioni erano state loro estorte sotto tortura, accusa sostenuta dalla Bulgaria e dai paesi a essa alleati.
Un responsabile del settore sanitario di Bengasi aveva affermato che circa 1.500 casi di Hiv erano stati registrati prima dell'epidemia all'ospedale. Ma il tribunale ha respinto la richiesta della difesa di chiamare questo funzionario al banco dei testimoni.
Tripoli ha suggerito che le infermiere potrebbero essere liberate, se la Bulgaria accettasse di risarcire i bambini e le famiglie, che reclamano 4,4 miliardi di euro di danni.
Il governo di Sofia ha rifiutato di pagare, ma si è unito agli Stati Uniti e all'Unione europea che si sono messi d'accordo con la Libia per la creazione di un fondo di sostegno alle famiglie.
Al termine della requisitoria, il processo d'appello è stato aggiornato al 5 settembre prossimo.
"Fu un atto crudele, criminale e inumano. E' una catastrofe umana", ha dichiarato il procuratore Omar Abdulkhaleq davanti al tribunale di Tripoli, aggiungendo che 53 dei 430 bambini contagiati sono poi deceduti. "Chiediamo la pena di morte per gli imputati".
In occasione del loro primo processo, le infermiere e il medico erano stati riconosciuti colpevoli di aver intenzionalmente inoculato alla fine degli anni 90 il virus dell'immunodeficienza umana (Hiv) in 426 bambini, all'epoca in cui lavoravano all'ospedale di Bengasi.
Condannati a morte, i sei erano sfuggiti all'esecuzione grazie a una sentenza della Corte suprema che aveva ribaltato la sentenza, rinviando il processo a un secondo tribunale, che ha iniziato i suoi lavori a maggio.
Le cinque infermiere bulgare, Snezhana Dimitrova, Nasya Nenova, Valentina Siropolu, Christiana Valcheva e Valia Cherveniashka, e il medico palestinese Ashraf Alhajouj, detenuti dal 1999, hanno costantemente respinto le accuse a loro carico.
Il procuratore Abdulkhaleq ha sostenuto in aula che i sei avevano commesso anche altri reati, come l'acquisto e la vendita di alcol e rapporti sessuali extraconiugali, illegali in Libia. Accuse respinte dagli imputati.
Il procuratore ha aggiunto, senza fornire dettagli, che 20 mamme avrebbero contratto il virus allattando i bambini sieropositivi.
Gli imputati hanno affermato, durante il secondo processo, che le loro confessioni erano state loro estorte sotto tortura, accusa sostenuta dalla Bulgaria e dai paesi a essa alleati.
Un responsabile del settore sanitario di Bengasi aveva affermato che circa 1.500 casi di Hiv erano stati registrati prima dell'epidemia all'ospedale. Ma il tribunale ha respinto la richiesta della difesa di chiamare questo funzionario al banco dei testimoni.
Tripoli ha suggerito che le infermiere potrebbero essere liberate, se la Bulgaria accettasse di risarcire i bambini e le famiglie, che reclamano 4,4 miliardi di euro di danni.
Il governo di Sofia ha rifiutato di pagare, ma si è unito agli Stati Uniti e all'Unione europea che si sono messi d'accordo con la Libia per la creazione di un fondo di sostegno alle famiglie.
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