Da Il Messaggero del 28/06/2006

Ambiente: e il geo-ingegnere curerà l’effetto serra

"Facciamo del nostro meglio per salvare la Terra trovando energie alternative e riducendo i gas serra, ma prepariamoci anche strade di emergenza nel caso non ci riuscissimo".
New York – Tutti oramai abbiamo sentito parlare della “bio-ingegneria”. Ben pochi però hanno finora sentito il termine “geo-ingegneria”.

Ebbene, prepariamoci a sentirlo ripetere molte volte, e soprattutto prepariamoci alle polemiche furibonde che nasceranno intorno a questa nuova scienza.

Perché se la bio-ingegneria manipola i geni del nostro corpo, la geo-ingegneria si propone di manipolare i geni del nostro pianeta.

Perché?

Per salvarlo dall’effetto serra.

Un proposito nobile.

Solo che invece di affidarsi alla teoria che la strada migliore contro il surriscaldamento del nostro pianeta sia l’adozione di energia pulita, la geo-ingegneria si propone di trovare soluzioni tecnologiche che non richiedano cambiamenti nelle abitudini inquinanti del genere umano.

Ad esempio: coprire i deserti con tele riflettenti che rilancino nello spazio il caldo dei raggi solari, o mettere in orbita intorno alla Terra miliardi di minuscoli specchi, sempre con il proposito di rilanciare nello spazio il calore solare.

La geo-ingegneria non è una scienza nuovissima: i primi scienziati che si convinsero che l’effetto serra stava avvenendo, già negli anni Sessanta, furono anche quelli che si misero alla ricerca di soluzioni, e talvolta di soluzioni ai confini della fantascienza.

Negli ultimi dieci anni, la geo-ingegneria è stata relegata in un angolo, rifiutata dalla scienza ufficiale e anche dai governi che immaginano i costi stratosferici di queste bizzarre soluzioni.

Stranamente, ad aprire la porta del salotto buono agli scienziati della geo-ingegneria è adesso uno studioso altamente rispettato negli Stati Uniti, il professor Ralph Cicerone, presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze e direttore della rivista specializzata Climatic Change.

Cicerone, uno dei più ascoltati esperti in materia di scienze atmosferiche, ha deciso di ospitare nel numero di agosto della rivista il contributo del collega Paul Crutzen, già Nobel per la chimica per i suoi studi sul buco dell’ozono.

Il professor Crutzen, del Max Planck Institut, di Mainz, in Germania, è oggi in rotta con la comunità scientifica per aver proposto di risolvere l’effetto serra sparando dello zolfo nella stratosfera.

La sua teoria è che si possa combattere un tipo di inquinamento (l’eccesso di gas serra, tipo l’anidride carbonica), con un inquinamento diverso (l’anidride solforosa).

Il suo studio verrà pubblicato nonostante le polemiche già esplose in ogni laboratorio e facoltà scientifica degli Stati Uniti.

Cicerone lo farà accompagnare da una serie di saggi che contestano la teoria dell’inquinamento come arma contro l’inquinamento stesso.

Ma il professore insiste nel sostenere che la geo-ingegneria deve oggi essere studiata, non come soluzione per l’effetto serra, ma per avere a portata di mano un “salvagente” nel caso la scienza ufficiale non riesca a salvare il pianeta in tempo prima che capiti qualche catastrofe, tipo un surriscaldamento improvviso e molto accentuato che porti con sé uno scioglimento accelerato dei ghiacciai, l’alzarsi veloce del livello del mare, incontrollabili siccità, carestie.

Insomma, Cicerone e gli scienziati della geo-ingegneria dicono: facciamo del nostro meglio per salvare la Terra trovando energie alternative e riducendo i gas serra, ma nel frattempo prepariamoci anche strade di emergenza nel caso non ci riuscissimo.

Che è poi quello che pochi giorni fa ha detto anche il grande scienziato Stephen Hawking, quando ha lasciato il mondo a bocca aperta, sostenendo che il genere umano deve trovarsi al più presto qualche altro pianeta abitabile, visto che la Terra è sulla via di trasformarsi in una «palla infuocata».

Quello che spaventa tanto gli scienziati dell’ambiente oggi è il comportamento di tre Paesi: gli Stati Uniti, i principali inquinatori, e Cina e India, che promettono di prendere il posto degli Stati Uniti fra breve.

Questi tre Paesi non obbediscono al trattato di Kyoto, di fatto rendendo il trattato quasi inutile in un mondo in cui tutto è globalizzato, soprattutto l’inquinamento.

Tuttavia va aggiunto che gli Stati Uniti non sono rimasti immobili come lo erano pochi anni fa: sebbene la presente Amministrazione abbia fatto poco e nulla per fermare l’inquinamento, nel Paese è nato un movimento di base che prende forza, mentre intellettuali e leader sia di sinistra che conservatori e religiosi si stanno muovendo.

Il successo strepitoso del documentario sull’effetto serra An Inconvenient Truth , dell’ex vicepresidente Al Gore, è una prova del fatto che il pubblico non è indifferente.

E ieri è arrivata la notizia che la Corte Suprema ha accettato di studiare il ricorso di 12 Stati (tutti Stati liberal) che chiedono al governo di Washington di imporre limiti anti-inquinamento alle vetture circolanti nel Paese.

Non è ancora una vera e propria rivoluzione “verde”, ma se il gigante americano si smuovesse dal suo torpore, forse non ci sarà bisogno di stendere teli bianchi sulle vastità degli Oceani, per rimandare nello spazio i raggi brucianti del nostro sole.

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