Da Corriere della Sera del 23/07/2004
IN FRANCIA
La sfida di Sarkozy sul lavoro
Dopo l’accordo della Bosch di Vénissieux, altre fabbriche potrebbero seguire l’esempio
di Massimo Nava
PARIGI - A volte, in economia e non solo, il clima psicologico ha effetti concreti. E' bastata la determinazione mediatica del ministro dell'Economia, Nicolas Sarkozy, a modificare la legge sulle 35 ore, perché l'orario di lavoro diventasse «flessibile» prima di procedere ad un'autentica riforma. Sarkozy e il presidente Chirac ripetono che la legge «non si tocca» e che quindi l'orario legale continuerà ad essere, formalmente, il più ridotto d'Europa.
Ma l'accordo approvato alla Bosch spalanca le porte alla contrattazione d'impresa e aggira la rigidità normativa. L'accordo ricalca quello raggiunto per la Siemens in Germania, che lo stesso ministro Sarkozy aveva bollato come ricattatorio e non conforme al modello di relazioni sociali francesi. Ma l'esempio potrebbe essere presto seguito da altri. Dunque si salva la forma e si cambia la sostanza, nella convinzione, contestata a parole dall'opposizione di sinistra (che difende per senso di appartenenza la «legge Aubry»), che il sogno di «lavorare meno, lavorare tutti» non abbia prodotto gli effetti sperati.
I lavoratori preferiscono non correre il rischio di delocalizzazioni d'imprese e vorrebbero guadagnare di più. Gli imprenditori vogliono aumentare produttività e crescita. Lo Stato francese fa i conti con i costi della riforma, insostenibili in un periodo di stagnazione. La riduzione dell'orario comporta infatti il parziale finanziamento delle ore supplementari a carico dello Stato: «Si spendono 14 miliardi di euro all'anno per non far lavorare i francesi», ha tuonato Sarkozy. Aumentare produttività, eventualmente i salari, sperando che aumentino anche i consumi, risanare le finanze pubbliche: per la quadratura del cerchio comunque non basterà lavorare un'ora di più. Anche perché il governo francese continua a tener conto di gravi problematiche sociali: è di questi giorni un piano per favorire l'occupazione giovanile nei quartieri difficili: 800 mila posti di lavoro che molti osservatori considerano ammortizzatori sociali improduttivi. «Cambiare le 35 ore è possibile e necessario per modernizzare la Francia», sostiene Sarkozy.
La modernizzazione delle imprese è in atto da tempo, con effetti positivi sugli investimenti stranieri, nonostante l'alto costo del lavoro, ma la vita lavorativa, considerando ferie e orari ridotti, è in media inferiore di un terzo a quella degli Stati Uniti. Un «gap» di competitività parzialmente compensato dall'alta produttività per ora di lavoro. Per questo, il Medef, la Confindustria francese, reclama, oltre alla revisione dell'orario, anche quella del Codice del lavoro che oggi «limita lo sviluppo delle imprese». La questione dell’orario è connessa al risanamento delle finanze pubbliche. L'idea di Sarkozy è di ridurre il peso dei contributi sulle ore supplementari per contenere tagli in altri settori. Sempre contando sugli effetti mediatici, Sarkozy (che sogna di scalzare Chirac dall'Eliseo) cerca di accreditarsi come campione di liberismo come il Tony Blair francese. Nella sostanza, si dimostra dirigista e interventista nel mercato e nazionalista nella difesa delle imprese francesi. Il governo francese si propone di affrontare la questione 35 ore in modo organico dopo l'estate. Ma già prima dei proclami di Sarkozy era stato messo in atto l'«assouplissement» (l'allentamento) proposto dall'ex ministro del lavoro Fillon. In pratica era stato elevato il «pacchetto» di ore supplementari al di là del quale far scattare i riposi compensativi. Era stato questo il primo colpo ad una riforma tanto criticata e mai fino in fondo applicata nel suo insieme. Cinque milioni ne sono esclusi. La «legge Aubry» ha prodotto trattamenti differenziati a seconda di categorie (artigiani, ristoratori) e della dimensione delle imprese. Un rompicapo che in modo surrettizio ha aperto le porte alla «riforma» della riforma: accordi di settore, negoziati, mediazioni. Possibilmente con il consenso, secondo mentalità francese. Possibilmente continuando ad affermare, con un po' d'ipocrisia, la «legalità» dell'orario. Come alla Bosch.
Ma l'accordo approvato alla Bosch spalanca le porte alla contrattazione d'impresa e aggira la rigidità normativa. L'accordo ricalca quello raggiunto per la Siemens in Germania, che lo stesso ministro Sarkozy aveva bollato come ricattatorio e non conforme al modello di relazioni sociali francesi. Ma l'esempio potrebbe essere presto seguito da altri. Dunque si salva la forma e si cambia la sostanza, nella convinzione, contestata a parole dall'opposizione di sinistra (che difende per senso di appartenenza la «legge Aubry»), che il sogno di «lavorare meno, lavorare tutti» non abbia prodotto gli effetti sperati.
I lavoratori preferiscono non correre il rischio di delocalizzazioni d'imprese e vorrebbero guadagnare di più. Gli imprenditori vogliono aumentare produttività e crescita. Lo Stato francese fa i conti con i costi della riforma, insostenibili in un periodo di stagnazione. La riduzione dell'orario comporta infatti il parziale finanziamento delle ore supplementari a carico dello Stato: «Si spendono 14 miliardi di euro all'anno per non far lavorare i francesi», ha tuonato Sarkozy. Aumentare produttività, eventualmente i salari, sperando che aumentino anche i consumi, risanare le finanze pubbliche: per la quadratura del cerchio comunque non basterà lavorare un'ora di più. Anche perché il governo francese continua a tener conto di gravi problematiche sociali: è di questi giorni un piano per favorire l'occupazione giovanile nei quartieri difficili: 800 mila posti di lavoro che molti osservatori considerano ammortizzatori sociali improduttivi. «Cambiare le 35 ore è possibile e necessario per modernizzare la Francia», sostiene Sarkozy.
La modernizzazione delle imprese è in atto da tempo, con effetti positivi sugli investimenti stranieri, nonostante l'alto costo del lavoro, ma la vita lavorativa, considerando ferie e orari ridotti, è in media inferiore di un terzo a quella degli Stati Uniti. Un «gap» di competitività parzialmente compensato dall'alta produttività per ora di lavoro. Per questo, il Medef, la Confindustria francese, reclama, oltre alla revisione dell'orario, anche quella del Codice del lavoro che oggi «limita lo sviluppo delle imprese». La questione dell’orario è connessa al risanamento delle finanze pubbliche. L'idea di Sarkozy è di ridurre il peso dei contributi sulle ore supplementari per contenere tagli in altri settori. Sempre contando sugli effetti mediatici, Sarkozy (che sogna di scalzare Chirac dall'Eliseo) cerca di accreditarsi come campione di liberismo come il Tony Blair francese. Nella sostanza, si dimostra dirigista e interventista nel mercato e nazionalista nella difesa delle imprese francesi. Il governo francese si propone di affrontare la questione 35 ore in modo organico dopo l'estate. Ma già prima dei proclami di Sarkozy era stato messo in atto l'«assouplissement» (l'allentamento) proposto dall'ex ministro del lavoro Fillon. In pratica era stato elevato il «pacchetto» di ore supplementari al di là del quale far scattare i riposi compensativi. Era stato questo il primo colpo ad una riforma tanto criticata e mai fino in fondo applicata nel suo insieme. Cinque milioni ne sono esclusi. La «legge Aubry» ha prodotto trattamenti differenziati a seconda di categorie (artigiani, ristoratori) e della dimensione delle imprese. Un rompicapo che in modo surrettizio ha aperto le porte alla «riforma» della riforma: accordi di settore, negoziati, mediazioni. Possibilmente con il consenso, secondo mentalità francese. Possibilmente continuando ad affermare, con un po' d'ipocrisia, la «legalità» dell'orario. Come alla Bosch.
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