Da Corriere della Sera del 27/06/2004

La Nato dice un sì tiepido all’addestramento degli iracheni

di Ennio Caretto

ANKARA - Confortato dall’appoggio «totale e durevole al governo iracheno pienamente sovrano» espressogli dalla Ue in Irlanda, il presidente Bush spera di strappare oggi alla Turchia l'uso di basi aeree militari per la guerra e domani di ottenere dalla Nato l'addestramento ed equipaggiamento dei soldati iracheni chiesti da Bagdad. A Bruxelles, i termini della procedura «silenzio assenso» sono scaduti e la Nato, ieri, ha confermato ufficialmente che gli ambasciatori rappresentanti permanenti delle 26 nazioni dell’Alleanza hanno raggiunto «un accordo preliminare» sull’addestramento dell’esercito iracheno. «Ora ci si aspetta - ha spiegato ieri il segretario generale dell’Alleanza, Jaap de Hoop Scheffer - che i capi di Stato e di governo approvino questo accordo al Vertice di Istanbul».

Bush è arrivato ieri sera in un'Ankara blindata, in un clima reso teso dallo scoppio di numerose bombe, una a Istanbul, due ad Adana, e dalla vicenda degli ostaggi in mano ad Al Zarkawi. Il presidente americano si è detto certo che l'Europa e l'Alleanza «si faranno carico delle loro responsabilità in Iraq». Ma l'appoggio della Ue è stato accompagnato da una duplice critica delle torture dei prigionieri iracheni, una nel comunicato congiunto, l'altro nell'incontro con il premier irlandese Bertie Ahern. E a Bruxelles, dove il Consiglio Atlantico ha rifiutato di svelare la portata - pare ridotta - dell'impegno della Nato, un anonimo diplomatico ha detto che «si basa sul minimo comune denominatore». A mettere i bastoni tra le ruote a Bush è stata ancora una volta la Francia che si è opposta strenuamente ad un coinvolgimento diretto della Nato in Iraq.

Il presidente americano, che questa sera si trasferirà a Istanbul, una città in preda all'incubo degli attentati - presidiata da 24 mila soldati e agenti con mezzi blindati motovedette ed elicotteri - sa di stare giocando la partita decisiva per il futuro dell'Iraq. Ieri ha dato atto alla Nato di essere un fattore importante «nella trasformazione dell'Afghanistan in una democrazia», e l’ha sollecitata a diventarlo anche a Bagdad: «Ne ha la capacità - ha sostenuto - assieme forgeremo un nuovo rapporto con gli iracheni». Per la prima volta, Bush ha anche ammesso che questa è la sua via d'uscita: «Prima l'Iraq saprà garantirsi la sicurezza, prima ne verremo via». Da Washington, lo ha spalleggiato il capo della commissione Esteri al Senato Richard Lugar con un monito: «Se la Nato venisse meno al compito perderebbe rilevanza, e forse rischierebbe la fine».

Alla conferenza stampa con Ahern e col presidente della Commissione europea Romano Prodi - ritardata dopo che i dimostranti avevano bloccato l'autobus dei media - Bush è apparso ottimista. Ha elogiato la Ue per «gli storici passi» dell'allargamento a 25 e della Costituzione, premuto perché accolga al più presto anche la Turchia, e manifestato il suo «apprezzamento» per l'opera di Prodi, che in cambio lo ha chiamato «George». Ha affermato che «gli amari contrasti» dello scorso anno sono stati completamente superati, e ha definito «molto costruttivo» il dialogo tra la Ue e gli Usa non soltanto sull'Iraq ma su tutto il Medio Oriente e il terrorismo. Ha evidenziato il recupero della solidarietà transatlantica anche nei campi economico e commerciale. Si è rabbuiato soltanto alla menzione delle torture, e delle dimostrazioni di protesta a Dublino e Shannon. Lo scandalo ha danneggiato l'America, ha ammesso, ma non rappresenta della realtà americana. «Quanto alla mia popolarità - ha concluso - faccio ciò che devo fare. Avrò il responso degli americani alle elezioni a novembre».

La fiducia di Bush potrebbe scontrarsi coi mezzi limitati e le implicite riserve della Ue e della Nato, e con quelli ancora maggiori del governo di Bagdad. I comunicati del vertice Ue-Usa in Irlanda hanno confermato che quello europeo a Bush è un assenso critico. La «Dichiarazione di appoggio al popolo dell'Iraq» sancisce l'obbligo al «pieno rispetto delle Convenzioni di Ginevra»; insiste sul ruolo determinante dell'Onu, soprattutto per le libere elezioni «da tenersi al più tardi a gennaio»; avalla il supporto «dell'addestramento ed equipaggiamento delle forze di sicurezza irachene», senza tuttavia menzionare la Nato; promuove la riduzione del debito di Bagdad entro la fine dell'anno, ma nell'ambito del Club di Parigi e senza mai quantificarla; mette infine in primo piano i diritti umani più la convocazione di una Conferenza internazionale «se il governo dell'Iraq deciderà che è nell'interesse del Paese e della regione».

Le preoccupazioni europee emergono anche dai documenti sul «Grande Medio Oriente» e «La lotta al terrorismo». Il primo approva il piano del premier israeliano Sharon sullo smantellamento degli insediamenti a Gaza e in parte della Cisgiordania, ma ribadisce la necessità di seguire la road map o percorso di pace che condurrà allo stato «sovrano e democratico» della Palestina: «I progressi nella soluzione del conflitto e nelle riforme si rafforzeranno a vicenda» scrive. Solo sull'Afghanistan sembra esserci eguaglianza di vedute: la Nato è pronta a mandarvi altri 3 mila uomini e a presidiarvi altre 5 città.

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