Da La Repubblica del 16/11/2005

Rischio Europa per il debito

di Massimo Riva

L'Europa accelera e l'Italia rallenta. Questa volta la fotografia statistica della crescita economica nel terzo trimestre dell'anno è limpida, trasparente, inequivoca. Fra i paesi dell'euro – la moneta sulla quale Berlusconi e Tremonti tendono a scaricare ogni colpa per i guai italiani – il nostro fa da fanalino di coda. La media d'aumento del Pil nel periodo è stata dello 0,6 per cento in Eurolandia, ma soltanto dello 0,3 al di qua delle Alpi.

Cosicché il consuntivo domestico, su base annua, è mestamente tornato alla crescita zero, di fatto raggelando gli entusiasmi estivi con i quali era stato salutato dal governo l'annuncio dello 0,7 per cento di incremento della ricchezza nazionale nel secondo trimestre. Se si chiuderà l'anno con uno stentato più 0,1 ci sarà da far festa!

Il nuovo dato indica una cosa precisa e preoccupante: l'economia italiana fa fatica a tenere il passo non con la Cina o l'India, ma con i soci dell'Unione europea. Cade così anche l'alibi che le nostre difficoltà nascano soprattutto dalla sleale concorrenza dei paesi emergenti. No, l'Italia non regge il passo con la Francia e con la Germania (rispettivamente più 0,7 e 0,6 per cento nello stesso trimestre) ovvero con quei sistemi produttivi che pure esportano anch'essi con la nostra medesima moneta.

Il presidente del Consiglio ha un bel dire – come è tornato a fare ieri – che gli italiani sono ricchi perché sono tra «i primi fruitori di telefonini, lavatrici e lavastoviglie». L'on. Berlusconi dovrebbe forse attardarsi a verificare da dove vengono le apparecchiature di cui parla: potrebbe così scoprire che di italiane ce n'è sempre meno sul mercato, di telefonini addirittura nessuno. Ed è precisamente questo che fa la differenza e spiega perché altrove il Pil cresce più veloce che da noi. Con buona pace di tutti i patti per lo sviluppo ed altre panzane mediatiche presentate come svolte epocali in questi anni, la realtà è che la nostra economia sta perdendo peso internazionale e fa sempre più fatica ad agganciarsi alla ripresa altrui.

Constatazione pessima questa perché si sovrappone ai gravi problemi strutturali di una finanza pubblica tuttora fuori controllo e che l'Europa osserva con crescente allarme, ora anche con intenzioni giustamente poco benevole dato che i conti italiani rientrano nel condominio della moneta unica. Il governo Berlusconi ha fatto finta di dimenticare che, all'atto dell'aggancio con l'euro, l'Italia si era impegnata a mantenere la politica di risanamento che così brillantemente era stata avviata da Carlo Azeglio Ciampi.

E non si trattava solo di tenere il deficit sotto il fatidico limite del tre per cento, ma soprattutto di far calare significativamente la montagna nostrana di debito pubblico che è tuttora la principale zavorra della moneta comune. Su questo punto oggi Roma risulta clamorosamente inadempiente perché la cura Berlusconi ha prodotto un ritorno alla crescita del debito. Crescita che il resto d'Europa non è più disposto a tollerare.

Qualcuno dovrebbe spiegare al presidente del Consiglio che le sue polemiche contro il rigore della Banca centrale europea indicano soprattutto che l'on. Berlusconi non ha capito la sostanza dei veri guai in cui rischiano presto di trovarsi il suo governo e, purtroppo, l'intero paese. Il fatto è che a Francoforte si stanno stancando di inviare inutili petizioni ai governi dei paesi più indebitati affinché mettano ordine nei propri conti. Né ritengono che potrà essere sufficiente al riguardo quella stretta sui tassi d'interesse che è ormai alle porte perché questa colpirebbe nella stessa misura tanto i buoni che i cattivi. Per questi ultimi alla Bce si stanno studiando misure più energiche e coercitive.

Non è certo un caso che il presidente Ciampi abbia suonato la campana d'allarme sulla minaccia che un rialzo dei tassi sull'euro comporta per la spesa degli interessi sul debito. Probabilmente egli ha avvertito quel che sta bollendo nella pentola di Francoforte ovvero l'ipotesi di non accettare in garanzia titoli emessi dagli Stati più indebitati se non a fronte di un più elevato tasso d'interesse. Per altro, secondo una logica di affidabilità del debitore che è la stessa normalmente applicata su tutti i mercati creditizi.

Ciò comporta che l'Italia rischia di veder crescere pesantemente la sua spesa per interessi non solo a seguito del comune e imminente rialzo dei tassi sull'euro, ma anche con un sovrappiù di penale specifica per il mancato rispetto dell'impegno alla discesa del debito pubblico. Il tutto con inevitabili conseguenze a cascata sull'intero sistema creditizio nazionale: dai mutui per la casa ai finanziamenti per le imprese. A quel punto gli italiani sapranno chi devono ringraziare.

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