Da Corriere della Sera del 29/10/2005

La prima vittima del Ciagate

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Il Ciagate ha fatto la prima vittima: Lewis Libby, il braccio destro del vicepresidente Richard Cheney, si è dimesso ieri dopo essere stato incriminato di falsa testimonianza, spergiuro e ostruzione della giustizia, 5 capi d’accusa che, sommati, comportano un massimo di pena di 30 anni di carcere e 1 milione e 250 mila dollari di multa. Karl Rove, il «boy genius» del presidente George Bush, l’altro grande inquisito in questo scandalo che ruota attorno allo «smascheramento» da parte della Casa Bianca di Valerie Plame, un’agente Cia sotto copertura, è stato risparmiato dal procuratore speciale Patrick Fitzgerald, ma non è ancora al sicuro. «Il caso non è finito, quando lo sarà lo saprete» ha spiegato il procuratore, adombrando il ricorso a un'altra giuria e rifiutando di precisare se tenga Rove nel mirino.

Altre personalità eminenti dell’amministrazione potrebbero essere coinvolte: nel suo dossier Fitzgerald, un magistrato che ha fama di mastino, ha citato senza nominarli un terzo funzionario della Casa Bianca, un funzionario della Cia e un sottosegretario di Stato. Lo stesso Cheney non pare al di sopra dei sospetti: fu lui, ha riferito il procuratore, a informare Libby dell’identità della Plame, precisando però di «non aver rivolto al vicepresidente alcuna accusa».

Lo scandalo rischia di avere sulla Casa Bianca l’impatto che il Watergate ebbe su quella di Richard Nixon nel ’73 e ’74, sebbene Bush ne risulti estraneo: di paralizzarla cioè per mesi, se non anni, in politica interna e di condizionarne la politica estera. Alla radice della crisi c’è il motivo che l’amministrazione Bush ha originariamente addotto per la guerra in Iraq: che Saddam Hussein possedesse armi di sterminio, tesi dimostratasi infondata. L’incriminazione di Libby è solo la punta dell’iceberg. Cheney e altri big potrebbero essere chiamati a deporre al suo processo. Valerie Plame, la cui incolumità personale fu messa a rischio, potrebbe querelare Libby, se non la Casa Bianca, chiedendo un risarcimento danni. Non è neppure esclusa un’inchiesta congressuale. E, come nell’era Nixon gli scandali che colpirono l’amministrazione, finirono per ripercuotersi anche sulla guerra del Vietnam, così il Ciagate potrebbe avere delle conseguenze anche sul conflitto iracheno.

Libby fece il nome della Plame, una democratica, per screditarne il marito, l’ex ambasciatore Joseph Wilson, anch’egli critico di Bush, che aveva smentito che il raìs avesse cercato materiale atomico nel Niger. E ciò rafforza i sospetti che la Casa Bianca abbia tentato di manipolare l’ intelligence sull’Iraq.

In una conferenza stampa in diretta tv, davanti a un’America attonita che riviveva l’incubo del Watergate e del più recente Sexgate, nato dalla «relazione impropria» dell’ex presidente con la stagista Monica Lewinsky, Fitzgerald ha accusato Libby d’aver «messo in pericolo la sicurezza nazionale», rivelando l’identità della Plame. L’incriminazione, ha detto, è molto grave, «l’identità degli agenti Cia sotto copertura va protetta a ogni costo». Il procuratore ha poi espresso il suo rammarico per l’incarcerazione di Judith Miller, la giornalista del New York Times che si rifiutò di confermare che Libby fosse la sua fonte d’informazione. «Credetemi, avrei preferito che non fosse necessario (mandarla in prigione, ndr ) per lo svolgimento dell'inchiesta. Invece lo fu. Ma l’inchiesta è la prova che nel nostro Paese nessuno è al di sopra della legge, neppure i leader politici. Libby mentì con premeditazione e ripetutamente agli inquirenti e all'Fbi». Il procuratore non ha però chiarito perché non abbia incriminato il vice di Cheney anche di violazione della legge del 1982 che tutela il diritto alla segretezza personale degli 007.

Fitzgerald, che ha studiato dai gesuiti e, in qualità di procuratore di Manhattan, ha raccolto l’eredità di Rudolph Giuliani, poi sindaco di New York, ha sottolineato che Libby ha iniziato ad attaccare Wilson e la moglie un mese prima dello scoppio dello scandalo, nel luglio del 2003. Da indiscrezioni della Casa Bianca, non avrebbe un’analoga certezza per quanto riguarda Karl Rove. Per questo, starebbe negoziando un compromesso con i suoi legali, che gli hanno pubblicamente promesso completa collaborazione. L’ entourage di Bush sembra avere tirato un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo da parte di Rove, almeno per adesso. L’incognita però potrebbe essere proprio l’ex ambasciatore Joseph Wilson, che in un secco commento ha avvertito che non tacerà. «Quando l’ufficio del presidente viene infangato - ha detto - nessun cittadino può rallegrarsene. Io e mia moglie abbiamo detto la verità. Questa vicenda non riguarda noi, riguarda la nostra democrazia».

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