Da La Repubblica del 19/10/2005

Da George Bush all'Enel torna il "partito" del carbone

Negli ultimi quattro anni l'utilizzo nel mondo è salito del 40%

A causa del caro-greggio la pietra nera è stata rilanciata nella sua versione "pulita"
È il migliore e peggiore dei combustibili, perché costa poco ma inquina più di tutti
Per ridurre l'impatto ambientale la soluzione è trasformarlo in un gas sintetico
In Italia la sua quota nel mix di produzione di elettricità aumenterà al 24% nel 2009

di Maurizio Ricci

ROMA - Il carbone? Mi viene in mente mia nonna che, davanti al fuoco, alimenta la carbonella sotto la pentola del pesce con un ventaglio di piume di gallina. La paura del sacchetto di carbone la notte della Befana. Il mucchio di sassi neri e friabili che un camion portava sul marciapiede sotto casa, nella Milano degli anni '50, per la caldaia del riscaldamento. Poi, basta. Dopo che, negli anni '80, Margaret Thatcher aveva sconfitto Arthur Scargill e i suoi minatori, mi ero convinto che il vecchio carbone fosse destinato ad uscire quietamente dalla nostra vita. Beh, mi sbagliavo alla grande. Non c'è mai stato tanto carbone in circolazione: l'anno scorso ne sono stati bruciati 5 miliardi di tonnellate. Solo negli ultimi quattro anni, il suo uso nel mondo è aumentato del 40 per cento. Produce un terzo dell'anidride carbonica che alimenta l'effetto serra. Genera tuttora più di metà dell'elettricità americana. Il 14 per cento in Italia. E questo, prima del prossimo grande balzo. Petrolio caro, scarso, instabile? Dritti filati indietro al carbone, afferma, infatti, con sicurezza un coro crescente di politici, tecnici, esperti e imprese, da George Bush all'Enel che si prepara a varare due megacentrali a carbone – a Civitavecchia e a Porto Tolle – e a farne l'asse della sua produzione di elettricità nei prossimi decenni. Una clamorosa conversione a U: e, questa volta, l'Italia è nel gruppetto di testa.

Bastano tre parole per definire il carbone: tanto, maledetto e subito. «Il carbone è il migliore dei combustibili. Il carbone è il peggiore dei combustibili» dice il geologo di Princeton, Kenneth Deffeyes, nel suo libro «Beyond Oil», oltre il petrolio. E' il peggiore, perché inquina e uccide più di ogni altro: avvelena e lastrica i polmoni di polveri sottili, crea lo smog e la pioggia acida, produce ozono. E' il migliore, perché costa poco. Il suo prezzo, in realtà, è aumentato del 50 per cento negli ultimi cinque anni, in larga misura nell'ultimo anno, perché è in pratica agganciato a quello dei suoi concorrenti – petrolio e gas – ma viene trattato con un cospicuo sconto. È abbondante: a parte il petrolio, anche le riserve mondiali di gas si misurano in decenni di sfruttamento. Di carbone, invece, ce n'è per un paio di secoli. Infine, si estrae in posti affidabili, come America, Sud Africa, Nord Europa.

«Costo e sicurezza degli approvvigionamenti hanno fatto pendere la bilancia a favore del carbone», spiega, nella sede dell'Enel, Ennio Fano, responsabile per l'ambiente. Di fronte al problema di riconvertire le megacentrali a olio combustibile (che inquina come il carbone, ma costa di più), l'Enel - di cui lo Stato ha ancora il controllo - ha scelto di investire quasi 4 miliardi di euro nel migliore/peggiore dei combustibili. Il risultato è che, fra cinque anni, nel mix di produzione di elettricità nazionale, l'olio combustibile praticamente scomparirà, ma la quota del carbone salirà, complessivamente dal 14 al 24 per cento. Per l'Enel, in particolare, quasi metà dell'elettricità sarà generata dal carbone. Una scelta strategica, contro le incertezze di approvvigionamento del gas, ma né pacifica, né scontata. Anche per motivi economici. In effetti, al netto di situazioni particolari (le centrali Enel, vicine al mare, sono più facilmente rifornibili di carbone via nave), non esiste in assoluto, fra le due opzioni, il divario economico su cui insistono spesso i sostenitori del carbone. Il metano costa di più, ma se ne usa di meno per produrre la stessa quantità di energia: in un impianto tradizionale a carbone bisogna introdurre 100 di combustibile per ottenere 38 di elettricità, in quelli moderni progettati dall'Enel si ottiene il 43-45 per cento, le centrali a gas danno il 55. Inoltre, una centrale a gas costa molto meno: secondo George Rudins, l'uomo di Bush per il carbone, un impianto a gas comporta un investimento di capitale pari a 500 dollari per ogni chilowatt prodotto, mentre per un impianto a carbone ne servono circa mille. Soprattutto, il carbone inquina più del gas.

Filtri e particolari accorgimenti previsti nelle nuove centrali rendono oggi le emissioni molto meno velenose del passato. Per questo, i profeti della pietra nera parlano di «carbone pulito». Per tutti gli altri «carbone pulito» è un ossimoro, in cui i due termini si contraddicono a vicenda. Il nuovo carbone è un massiccio miglioramento rispetto all'olio combustibile. Ma bruciare carbone produce comunque due volte l'anidride carbonica del metano.

Gli ambientalisti sono in rivolta. «La scelta del carbone è un boomerang che, con Kyoto, ci farà pagare l'energia ancora di più» sostiene un documento del Wwf. La pressione degli ambientalisti rischia di far esplodere uno scontro all'interno dell'Unione. Sia Romano Prodi, sia Enrico Letta, infatti, nei mesi scorsi, hanno fatto delle aperture esplicite sul tema carbone. «Una parte del centrosinistra non ha chiari gli scenari futuri e non si discosta dal centrodestra sulla politica energetica» dice Massimiliano Varriale del Wwf. Tuttavia dichiarazioni come quelle di Prodi si basano, apparentemente, su un equivoco: si parla di «carbone pulito», come l'Enel, mentre l'obiettivo sembrerebbe quello che chiameremo «carbone pulito-pulito». Questo è quanto fa capire Alessandro Ovi, consigliere di Prodi per l'energia, quando dichiara che il ricorso al carbone «ha senso solo se ci fa entrare nella filiera dell'idrogeno», il combustibile-sogno del futuro. Le nuove centrali Enel, tuttavia, non produrranno idrogeno. Esiste una tecnologia per produrre direttamente idrogeno dal carbone, ed è una delle prospettive più interessanti del futuro energetico mondiale. Non è, però, quella che ha adottato l'azienda pubblica.

Per il grosso dei verdi, Wwf in testa, infatti, il carbone è un vicolo cieco, ma, la tecnica per redimere la pietra nera, invece c'è: ed è trasformarlo in un gas sintetico di idrogeno e anidride carbonica. Esistono già, nel mondo, quattro centrali che funzionano, sperimentalmente, con questa tecnologia e a quella in Spagna collabora anche l'Enel. Gli impianti, dice l'americana Bechtel, che li produce, costano il 25 per cento in più, ma i vantaggi sono quelli del carbone «pulito-pulito»: nel processo che porterà alla produzione di idrogeno, i vari elementi inquinanti (lo zolfo ecc.) vengono ridotti allo stato solido e possono, dunque, essere facilmente asportati e stoccati. E l'anidride carbonica? La gassificazione ne produce anche di più che il metodo tradizionale. Tuttavia, proprio perché la sua concentrazione è più elevata, risulta più facile ed economico sottrarla ed impedire che si disperda nell'atmosfera.

Già, e per metterla dove? Semplice: sottoterra. La gassificazione del carbone non diventa, a sua volta, un vicolo cieco se la si accoppia ad un'altra tecnologia sperimentale: il sequestro dell'anidride carbonica. Secondo un rapporto, uscito in questi giorni, dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), la massima autorità mondiale sull'effetto serra, questa tecnica consentirebbe di ridurre del 30 per cento le emissioni di anidride carbonica da combustibili fossili. La Bp la applica già in Algeria, la Statoil (la compagnia petrolifera norvegese) nel Mare del Nord, gli americani nel Nord Dakota. L'anidride carbonica viene pompata dentro i vecchi pozzi, dove va a prendere il posto, nella porosità delle rocce, che occupava prima il petrolio, favorendone l'ulteriore recupero. Resterà lì sotto? L'Ipcc ritiene che i rischi siano gestibili e controllabili, non superiori a quelli di un attuale deposito di metano. Se è così, là sotto spazio ce n'è: secondo i geologi, cento volte quanto serve a immagazzinare l'anidride carbonica che il mondo produce in un anno. E' un sogno: rovesciare le ciminiere a testa in giù, perché sputino i loro veleni giù in fondo, all'inferno, anziché in cielo. Tuttavia, è un sogno che costa.

Fra energia necessaria al processo e gasdotti per l'anidride carbonica, dice l'Ipcc, il costo del chilowattora potrebbe arrivare fino al doppio di oggi. Promettente, disponibile, insomma, ma il carbone «pulito-pulito» è ancora costoso e complicato. Tuttavia, è una strada che, prima o poi, probabilmente percorreremo. Per questo, l'Ipcc invita a strutturare fin d'ora gli impianti, che oltretutto hanno una vita media di 25 anni. Ridisegnarli dopo, potrà essere molto costoso. L'Enel, però, non sembra aver tenuto conto di questa prospettiva: le nuove centrali hanno un design standard. «Quando arriverà la tecnologia, affiancheremo una nuova caldaia alle vecchie» spiegano all'Enel. Quando arriverà, il carbone «pulito-pulito» ci costerà un po' di più.

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