Da La Repubblica del 17/10/2005
Originale su http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/politica/primarieunio2/demodir...

IL COMMENTO

Democrazia diretta

di Michele Serra

QUEI cittadini in coda, spuntati da quel territorio sconosciuto che è la normalità, non se li aspettava nessuno. La metafora calcistica è fin troppo ovvia: clamoroso contropiede del centrosinistra, e proprio su un terreno, quello elettorale, reso arroventato e ostile dal ribaltone proporzionalista del governo. Ora l'Unione avrà gioco facile nell'opporre una mobilitazione democratica di dimensioni del tutto inattese, non piazzaiola, meditata e composta, al furbo ribaltone proporzionalista deciso nel chiuso delle stanze del potere berlusconiano: piaccia o non piaccia le famose "due Italie", per mentalità e per metodo, in questo scorcio convulso della lotta politica hanno dimostrato (entrambe) di esistere davvero.

Le code ai seggi ispirano una retorica democratica fin troppo facile. Meno facile era crederle possibili e infine organizzarle in salita e quasi obtorto collo, con la zavorra di un clima interno avvelenato dai soliti sospetti e dalle solite piccinerie di fazione (vedi le improvvide dichiarazioni di Mastella, anche lui travolto dall'esito delle primarie).

Quello che viene da chiedersi, ora, è perché non sia accaduto prima. Perché, per lunghi anni, un progetto di democrazia diretta come le primarie abbia tardato tanto a prendere corpo. Erano una delle poche idee solide, comprensibili e credibili scaturite dalla mobilitazione della società civile, suffragata autorevolmente da molta politologia sapiens, e avvertita comunque come un cambiamento concreto, un segno di mutamento anche formale che desse sostanza alla fantomatica "seconda Repubblica".

Un'idea popolare: più potere alla gente, meno alle alchimie partitiche. Questo, all'osso, è stato lo spirito buono degli anni Novanta, quello che animò il primo Ulivo, i movimenti di opinione, i circoli e le associazioni di cittadini che si proponevano, con qualche goffaggine ma parecchie buone ragioni, di affiancare il ceto politico, e magari controllarne la rotta. Indicare direttamente il proprio candidato premier: che cosa, di così paventabile e dunque rimandabile, conteneva questo proposito, se è stato necessario aspettare una diecina d'anni per metterlo in atto?

In una bella domenica di ottobre, almeno un pezzo (importante) di quello spirito di partecipazione ha trovato il suo sbocco, come se fosse pronto già da tempo a un appuntamento rimandato così lungamente. Del clima litigioso e nervoso della nomenklatura dell'opposizione, nessun segno tangibile nei folti gruppi di elettori segnalati ovunque di ottimo umore, sorpresi di essere così in tanti, felici di dovere attendere anche parecchio tempo per poter scegliere il candidato premier. Premier di una coalizione, scelto tra sei diversi nomi ma destinato a essere votato da tutti, secondo uno spirito maggioritario e bipolare che, specie tra i cittadini di centrosinistra, è avvertito come la prima delle urgenze, tanto devastante è il continuo riprodursi delle divisioni interne proprio quando l'avversario è alle corde.

Erano probabilmente due i sentimenti più diffusi tra gli elettori unionisti in coda, e si tratta degli stessi due sentimenti che hanno reso possibile una partecipazione così superiore alle attese più rosee: la voglia di reagire subito, anche contandosi, a una nuova legge elettorale subita come un trucchetto ignobile, e la possibilità di sorreggere, per quanto possibile, quello spirito di coalizione che è intrinseco in una consultazione che sceglie non il capo di una fazione, ma il leader di tutta l'opposizione.

Se è facile ironizzare sulla sinistra di piazza (anche per esorcizzarla), meno facile sarà snobbare una sinistra di seggio come quella scesa in campo ieri, in quantità almeno doppia a quella soglia di visibilità (un milione di voti) indicata alla vigilia un po'da tutti. E chissà se qualcuno, nel centrodestra, sarà in grado di preoccuparsi della lampante sintesi politica che esce da questi ultimi fatidici giorni, con il governo che torna precipitosamente al vecchio proporzionale per tentare di rabberciare i sondaggi maledicenti, e l'opposizione che dà corso, con le primarie, almeno a un pezzo della vox populi levatasi dopo la caduta della partitocrazia: più potere ai cittadini. Lo scontro, dopo la nuova legge elettorale e dopo le primarie, è prima Repubblica contro seconda Repubblica. Una carta in più, e che carta, da giocare per l'Unione.

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