Da La Repubblica del 03/08/2005
Grave tensione tra Europa e ayatollah. "Abbiamo diritto all'energia atomica". Schroeder: "L'Occidente unito contro la bomba"
"Nucleare, sanzioni contro l'Iran"
Avvertimento dell'Ue, ma Teheran va avanti: "Apriremo le centrali"
di Alberto Mattone
«La questione nucleare iraniana è molto seria e potrebbe innescare una grave crisi internazionale»: non usa giri di parole il ministro degli Esteri francese e non si aggrappa nemmeno più al diluito linguaggio della diplomazia. Philippe Douste-Blazy mette in guardia l'Iran dal riavviare le centrali atomiche. Con una sola voce, i principali leader europei, da Schroeder a de Villepin, minacciano sanzioni mentre la troika delegata alle trattative e formata da Gran Bretagna, Germania e Francia, in sintonia con gli Stati Uniti, parla apertamente di «questione da sottoporre subito al consiglio di sicurezza dell'Onu».
La risposta dell'Iran è eloquente: «La ripresa delle attività nucleari è un nostro diritto, la decisione di riaprire l'impianto di Isfahan è irreversibile». Gli ayatollah annunciano di aver rotto ieri i sigilli della centrale dove si converte l'uranio in gas prima della fase di arricchimento vero e proprio. «L'ultimatum all'Europa è scaduto, ma le proposte dell'Ue non sono ancora arrivate» accusa Teheran. «Tra due giorni ricomincerà l'attività», dice una fonte del governo. I tecnici dell'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica delegata al controllo degli impianti, sono già sul posto e parlano di tempi più lunghi per la riattivazione delle "macchine".
Una settimana o due giorni, poco importa. «Il tempo delle minacce è finito», attacca Ali Agha Mohammadi, portavoce del supremo consiglio per la sicurezza nazionale. Teheran rompe gli indugi e sfida la comunità internazionale. Anche se assicura di non voler procedere all'arricchimento dell'uranio e, quindi, alla costruzione della bomba atomica. Ma i segnali che arrivano dal nuovo corso politico sono inequivocabili. Proprio ieri, il neopresidente Mahmoud Ahmadinejad ha nominato ministro degli Esteri Ali Larijani, conservatore, contrario a qualsiasi intesa con l'Europa.
La centrale di Isfahan è solo un tassello del progetto nucleare. A Natanz è pronto un sito sotterraneo per produrre uranio arricchito al 3,5%, a Busher, con l'appoggio della Russia, l'Iran sta costruendo un altro impianto. Mentre ad Arak, a sud di Teheran, è in via di realizzazione quel reattore ad acqua pesante che preoccupa l'Aiea e in grado di produrre da 8 a 10 chili di plutonio: una quantità sufficiente per confezionare una bomba atomica.
L'Iran nuova potenza nucleare? «Per l'atomica ci vorranno almeno altri dieci anni» ha rivelato ieri il Washington Post, citando fonti dell'intelligence americana. Il doppio del tempo stimato finora dalla Casa Bianca. «Ci sono indizi credibili - scrive il giornale - che le forze armate portano avanti un'attività clandestina. Non ci sono, però, informazioni che colleghino tale lavoro segreto a un programma di armamenti». Ma la svolta di Teheran preoccupa le cancellerie, che non escludono l'opzione delle sanzioni. «Se l'Iran riavvia le attività nucleari si fermeranno le trattative», minaccia la troika. «La comunità internazionale dovrà portare la questione al consiglio di sicurezza» annuncia il premier francese, Dominique de Villepin. E a quelli che sperano di dividere il fronte europeo, il cancelliere Schroeder risponde: «Nessuno dubiti che tutto l'Occidente unito si mobiliterà per impedire che Teheran si doti dell'atomica».
La risposta dell'Iran è eloquente: «La ripresa delle attività nucleari è un nostro diritto, la decisione di riaprire l'impianto di Isfahan è irreversibile». Gli ayatollah annunciano di aver rotto ieri i sigilli della centrale dove si converte l'uranio in gas prima della fase di arricchimento vero e proprio. «L'ultimatum all'Europa è scaduto, ma le proposte dell'Ue non sono ancora arrivate» accusa Teheran. «Tra due giorni ricomincerà l'attività», dice una fonte del governo. I tecnici dell'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica delegata al controllo degli impianti, sono già sul posto e parlano di tempi più lunghi per la riattivazione delle "macchine".
Una settimana o due giorni, poco importa. «Il tempo delle minacce è finito», attacca Ali Agha Mohammadi, portavoce del supremo consiglio per la sicurezza nazionale. Teheran rompe gli indugi e sfida la comunità internazionale. Anche se assicura di non voler procedere all'arricchimento dell'uranio e, quindi, alla costruzione della bomba atomica. Ma i segnali che arrivano dal nuovo corso politico sono inequivocabili. Proprio ieri, il neopresidente Mahmoud Ahmadinejad ha nominato ministro degli Esteri Ali Larijani, conservatore, contrario a qualsiasi intesa con l'Europa.
La centrale di Isfahan è solo un tassello del progetto nucleare. A Natanz è pronto un sito sotterraneo per produrre uranio arricchito al 3,5%, a Busher, con l'appoggio della Russia, l'Iran sta costruendo un altro impianto. Mentre ad Arak, a sud di Teheran, è in via di realizzazione quel reattore ad acqua pesante che preoccupa l'Aiea e in grado di produrre da 8 a 10 chili di plutonio: una quantità sufficiente per confezionare una bomba atomica.
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