Da La Stampa del 31/01/2005

La sconfitta di al Zarqawi

di Lucia Annunziata

BAGHDAD. Chi ha perso davvero ieri in Iraq è il terrorista al Zarqawi: il bagno di sangue minacciato, i cecchini sui tetti, non si sono materializzati. I morti ci sono stati, è vero: ma il terrorismo ha provato di non avere né il volume di fuoco né la pressione psicologica necessari a fermare il voto.

Secondo una prima stima - i dati dovranno essere confermati - ha votato il 60 per cento degli aventi diritto, più o meno otto milioni di persone. Un bel numero se si considera il clima di terrore. Washington ha festeggiato subito la notizia e, da questo punto di vista, ci sono ragioni per tutti di celebrare: quella di ieri potrebbe rivelarsi la prima sconfitta del terrorismo per volontà popolare.

Più complessa è la valutazione del merito di questa partecipazione. Secondo le prime informazioni - ma anche queste andranno verificate - hanno votato in massa, e con allegria, i curdi del Nord e gli sciiti del Sud. Ma hanno anche votato i sunniti di quartieri «caldi» di Baghdad, quale Khadimyia, dove la convivenza con gli sciiti non faceva prevedere bene. Così come si è votato massicciamente a Sadr City dove la forte presenza di sciiti radicali lasciava pensare che il voto non avrebbe avuto successo. Non si è votato quasi per nulla nel cosiddetto triangolo sunnita. Ma anche lì, a Fallujah o a Mosul, c'è stato comunque chi è andato alle urne. Al di là delle eccezioni, i sunniti comunque - per convinzione o timore - non hanno partecipato.

La foto dell'Iraq che esce da questa consultazione elettorale è quella di una società divisa, in cui sciiti e curdi festeggiano oggi la loro ascesa al potere mentre i sunniti confermano la loro volontà di restarne fuori.

La situazione ha due facce: c'è da celebrare il coraggio e l'entusiasmo di milioni di persone che ieri hanno festeggiato la loro libertà da Saddam; ma è innegabile che senza i sunniti, anzi, con loro in armi, queste elezioni non sono risolutive. Il risultato è zoppo.

Ora tocca alla comunità internazionale scegliere come trattare questa dualità: se vincerà il trionfalismo puro, come Washington pare intenzionata a fare, o se prevarrà lo scetticismo degli europei che non sembrano intenzionati a riconoscere l'importanza del voto, avremo un blocco del movimento avviatosi ieri. Se invece si lavorerà , con diplomazia e sincerità reciproca fra i governi internazionali, per completare un processo valido ma monco, includendo i sunniti, forse l'Iraq avrà qualche chance di uscire dalla guerra.

L'alternativa sarebbe soltanto la ratifica della divisione elettorale nel precipitare della guerra civile.

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