Da La Repubblica del 16/05/2005
Originale su http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/politica/elesicilia/cataniaita...

IL COMMENTO

Se a Catania si decide il futuro del Cavaliere

di Curzio Maltese

UNA sconfitta oggi a Catania potrebbe rappresentare paradossalmente un'occasione soprattutto per la destra, quella di staccare la spina al berlusconismo agonizzante prima d'essere trascinati alla rovina definitiva. La destra italiana è ormai un Titanic alla volontaria ricerca di un iceberg, insomma di un incidente qualsiasi per farla finita con un'avventura senza speranze e poter ricominciare daccapo. Catania può essere l'occasione perché è un simbolo potente, la cassaforte siciliana dei "61 collegi su 61" che hanno garantito la clamorosa vittoria del 2001, la prima e ora l'ultima roccaforte del berlusconismo. Una sconfitta qui, dove il capo ha delegato come sindaco il suo medico personale, Umberto Scapagnini, completerebbe il ciclo cominciato con la sconfitta a Milano e provincia, proseguito poi con le batoste in Lazio e Puglia: lo spettacolare crollo della casella finale del domino berlusconiano.

Certo, l'argomento può sembrare superficiale e in buona parte lo è. La recessione, lo stato penoso dei conti pubblici, l'allarme lanciato dall'Europa e poi dall'Istat e dalla Corte dei Conti, offrono ragioni ben più serie alle dimissioni del governo di una sconfitta a Catania. Eppure di questo ha vissuto il berlusconismo per un decennio, di una mitologia vincente incarnata in persone e luoghi, in simboli chiari, semplici, visibili. E dunque di questo, con tutta probabilità, morirà.

Se non è oggi, sarà domani o un altro giorno. La rotta del Titanic berlusconiano è segnata e per quanto il capitano si sforzi di far ballare i passeggeri al suono di un'orchestrina, molti suoi alleati sono già pronti a salire sulle scialuppe di salvataggio. Il naufragio è inevitabile. Ma se deve accadere da qualche parte allora è bene che accada a Catania, nel cuore di una Sicilia che ha sempre svolto un ruolo importante e più o meno misterioso nelle fortune del berlusconismo, personificato nella figura enigmatica dell'alter ego aziendale e politico del Cavaliere, Marcello Dell'Utri.

Una sconfitta qui avrebbe l'effetto di far svanire la residua aura d'invincibilità e di miracolismo del fenomeno di Arcore. Per la verità, non ce ne sarebbe neppure bisogno. Le ultime uscite di Berlusconi sulla crisi economica dovrebbero aver chiarito a tutti, alleati e avversari, che l'uomo è troppo fuori dalla realtà per tentare l'ultimo e più difficile numero del repertorio, la spettacolare rimonta.

Un capo di governo che attribuisce la recessione al ponte di Pasqua e ai troppi week end degli italiani non è un genio della comunicazione capace dell'ultima trovata, come sostiene qualche adulatore. E' un furbastro ormai scoperto e fastidioso, un arrogante alla fine, una Maria Teresa che risponde al popolo senza pane di mangiare brioches. Che poi lo stesso Berlusconi si sia precipitato in televisione a correggersi, vestendo un'insolita faccia grave, rende soltanto lo spettacolo del declino ancora più ridicolo.

Non esiste parte in commedia più patetica del decisionista in lacrime. Come si può prendere sul serio uno che ieri voleva spezzare le reni ai sindacati e oggi invoca una nuova concertazione, uno che ha riscritto la Costituzione a colpi di maggioranza e ora lancia un accorato appello al senso di responsabilità dell'opposizione, il mago del "boom economico alle porte" sorpreso e ridotto all'impotenza dalla recessione? Si tratta di un trasformismo da comica finale, fuori tempo massimo.

Il berlusconismo vincente aveva evocato mille fantasmi e alimentato mille conflitti interni ed esterni nell'illusione titanica di durare un ventennio e "mettere a posto tutti". Quello perdente, che implora di durare almeno qualche mese, si ritrova ora assediato dentro e fuori, con i sindacati e il Sud in rivolta, l'Europa sul collo e i mercati pronti a bastonare il cane che affoga.

Se un mese fa, perfino dopo la disastrosa sconfitta delle regionali, si poteva sperare o temere il colpo di timone del berlusconismo alla deriva, oggi è quasi impossibile. A meno di non essere un Bondi, un Cicchitto, un Adornato, per dire uno dei fedelissimi miracolati chiusi nel bunker a progettare improbabili grandi opere della politica, come il partito unico che "sicuramente si farà" come s'è fatto del resto il Ponte sullo Stretto. Peccato che i catanesi, guardando a est, non lo vedano.

Neppure Fini, Follini e Casini vedono all'orizzonte il partito unico e la miracolosa rimonta del Cavaliere, per quanto molti cerchino di convincerli. Vedono piuttosto la nave impazzita in procinto di sbattere contro una realtà negata per troppo tempo, contro l'iceberg della crisi che non era segnato nelle mappe e anzi non poteva assolutamente figurare sul cammino. E invece è proprio là davanti, alto come una montagna. E' troppo tardi per cambiare rotta. Meglio affrettare la fine e poi ricominciare. Un'altra sconfitta può permettere alla destra di mettere sul tavolo la vera questione, che non è il partito unico ma la successione di Berlusconi. In fondo, anche per loro, questa sarebbe una liberazione.

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