Da La Repubblica del 06/05/2005

Solo scaramucce tra i due schieramenti. Andreotti a Berlusconi: errare è umano, perseverare...

E nel Parlamento semivuoto il Cavaliere archivia il caso

di Concita De Gregorio

ROMA - Poiché non c´è la diretta tv ad ascoltare Berlusconi non è venuto quasi nessuno. L´aula di Montecitorio alle nove e mezza del mattino è semivuota. Seduta del 5 maggio, già la data è pesante. A parte le altre rievocazioni storiche sono oggi due mesi e un giorno dall´uccisione di Calipari, ed è di questo che il presidente del Consiglio è venuto a riferire: delle due relazioni, quella italiana e quella americana, di un´inchiesta congiunta che ha portato a conclusioni distanti. Berlusconi ha appena incassato la telefonata di amicizia di Bush, spera che gli basti. L´opposizione teme di essere scavalcata a sinistra, e che il premier annunci oggi l´imminente ritiro delle truppe. Non accade. Il presidente parla di «graduale disimpegno» ma non fissa date, tanto che più tardi al Senato Giulio Andreotti potrà irriderlo: «temo che le condizioni che lei aspetta per il ritiro delle truppe si verificheranno nelle prossime legislature», gli dice col consueto ironico distacco.

Il discorso che Berlusconi ha preparato è cauto, molto sottotono, preoccupato soprattutto di ribadire che non è in discussione l´amicizia fra Italia e Stati Uniti la quale ha «sopportato prove ben più difficili». Dura 23 minuti, è interrotto dagli applausi quattro volte alla Camera, solo una volta al Senato: quando dice di Calipari «eroico servitore della Patria». Ammette che ci sono «discrepanze non secondarie» fra le due inchieste, e che non avere agito con volontarietà non esclude la colpa di chi ha sparato. Illustra, codice alla mano, il concetto di dolo: negligenza, imperizia. Inoltre - aggiunge - il posto di blocco era irregolare, e il passaggio dell´ambasciatore Negroponte ha molto innervosito i militari. E però non si può parlare di «schiaffo», né di «rottura o di strappo» con gli Usa. Bush mi ha chiamato ieri, dice: «Ha ribadito i suoi sentimenti». Accanto a lui nei banchi del governo siedono Martino e Calderoli, La Malfa Tremaglia Tremonti Landolfi e Giovanardi. Fini arriva in ritardo. Gianni Letta è nella fila di fronte. Al «siamo tutti americani» parte un applauso, ma solo da destra e neanche da tutta: Follini resta fermo. Al «non abbiamo intenzione di stabilire un nesso fra la morte di Calipari e il ritiro delle truppe» Adornato annuisce. Segue dibattito. Fassino parla a nome della Fed. Dice che la commissione congiunta non è servita a nulla, chiede che «gli Usa si scusino» perché «un uomo che loro stessi definiscono eroe è morto ad un loro check point», e non basta il cordoglio. Chiede il ritiro delle truppe «ma non per un automatismo dopo la morte di Calipari, è una richiesta che abbiamo avanzato in Parlamento ben prima». Elenca i gruppi che l´hanno avanzata, cita i repubblicani. Il ministro La Malfa protesta: «Dica i repubblicani europei». Certo, certo, risponde Fassino: «ministro La Malfa, stiamo parlando qui di temi di ben altra rilevanza». La mattinata, mesta, fa registrare il ritorno ai banchi di Maurizio Gasparri (esodo dall´aula, al momento del suo intervento: Casini lo definisce «fisiologico») e un certo movimento solo quando parla Cossutta. «Bisogna stabilire - dice l´anziano leader comunista - se il fuciliere americano ha sparato per un tragico errore oppure perchè si era deciso di uccidere». Antonino Lo Presti, An: «Ai tempi del Kgb dicevate queste cose». Maura Cossutta, in difesa del padre: «Fascista». Gustavo Selva: «E´ un´infamia». Maura Cossutta: «Vergogna». Casini cede il posto da presidente a Alfredo Biondi, gli ultimi relatori stanno ancora parlando quando Berlusconi si parte per il Senato.

Qui replica il discorso, se possibile in un clima anche più distratto. Di ministri ci sono solo La Loggia e Calderoli, che dopo poco se ne va. Quando inizia il dibattito Berlusconi comincia a dar udienza a parlamentari in coda. Telefona, ascolta, bisbiglia. Durante l´intervento di Marini, a nome della Fed, il premier sta tutto il tempo al telefono. Antonello Falomi, nella distrazione generale, dice che «i servizi italiani hanno aggirato l´ostilità usa per le trattative tacendo ciò che stavano facendo, e questo è all´origine della tragedia». Malabarba, Prc, sostiene che la «responsabilità ambientale di quel che è successo è di Negroponte». Si fa silenzio solo quando tocca ad Andreotti, come sempre. «Appartengo a una scuola secondo la quale non c´è bisogno di sottolineare di continuo le ragioni profonde, proprio perché tali, che ci legano ad un alleato», che fastidio tutte queste dichiarazioni di amicizia. «Forse nella commissione sarebbe stato opportuno coinvolgere anche un iracheno per sottolineare la loro condizione di paese non occupato. In ogni caso, appurato che non esistevano le armi di distruzione di massa, bisogna ritenere senza arrossire che Saddam Hussein non avesse neanche un esercito?». Perché altrimenti non si spiega l´assenza di resistenza dell´esercito iracheno, a meno di non pensare «che siano passati alla guerriglia, nella quale ci sono certo anche infiltrazioni terroristiche, e che tuttora sia in atto questa strategia». C´è un precedente storico, Garibaldi: «Durante la Repubblica romana Giuseppe Garibaldi avrebbe voluto seguire questa linea di sparpagliamento armato rispetto alla resistenza campale ai francesi che altri volle, con il risultato del ritorno del Papa». Berlusconi prende appunti. Andreotti conclude: «Ho ascoltato la sua difficile relazione, presidente. Se per ritirare le truppe si deve aspettare che la situazione in Iraq si normalizzi ho l´impressione che se ne riparlerà nelle prossime legislature. Le Scritture insegnano: errare è umano, perseverare diabolico».

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