Da La Repubblica del 06/05/2005
Originale su http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/esteri/niccal4/omissis/omissis...

IL COMMENTO

Gli omissis del Cavaliere

di Giuseppe D'Avanzo

BERLUSCONI vuole chiudere il "caso Calipari" senza danni per la dignità nazionale e la politica estera del governo. Si muove con equilibrio lungo un sentiero assai stretto. Non può accusare gli Stati Uniti. Al contempo, non può condannare le manovre che egli stesso ha deciso e coordinato. Concede all'amico americano, "in buona fede", che la morte di Calipari è stato "un incidente"; che "non c'è stata alcuna volontarietà".

Rivendica il diritto di ricordare che "l'assenza di un dolo non esclude la colpa, che può essere ascrivibile all'imperizia, alla negligenza". L'assassinio di Nicola Calipari è stato, per Berlusconi, l'omicidio colposo di un pugno di soldati molto impauriti e male addestrati perché, dice, quel check-point "non era regolare: mancavano segnali che lo rendessero visibile". La ricostruzione del presidente del Consiglio permette di lasciare al loro posto le tessere più controverse del mosaico che ha costruito in questi anni. Un legame di fedeltà gregaria con Washington. La legittimità della nostra "missione di pace" in Iraq. La creazione di "scenari" inattendibili quanto spaventevoli.

"Non rinunciare alla verità", chiedono le opposizioni, con Fassino. Il problema si nasconde appunto in queste quattro parole. Venire a capo di quell'"incidente", non rinunciare alla verità, vuol dire rovesciare come un sasso le tessere che il capo del governo non ha voglia di maneggiare. Sotto quei sassi ci sono, con molte muffe, alcune delle ragioni che hanno consegnato Nicola Calipari al sacrificio. Berlusconi sottrae quelle ragioni al dibattito. Non dice che abbiamo trattato e promesso di pagare i sequestratori di Giuliana Sgrena. Tace la ferma contrarietà di Washington a ogni trattativa. Non fiata sulla decisione di nascondere agli alleati l'obiettivo della missione di Calipari a Bagdad. Acceca il ruolo della nostra intelligence.

La verità, dunque. L'abitudine a dire la verità non è mai stata annoverata tra le virtù politiche e tuttavia "arriva sempre il momento in cui la menzogna diventa controproducente". Quel momento, quell'attimo in cui la menzogna si rivolta contro chi l'ha costruita, è giunto con la morte di Nicola. Il destino di Calipari consegna la scena alla durezza di ostinati fatti che, come sempre accade da quando un bambino gridò "il Re è nudo", non rivelano nulla che un lettore medio di quotidiani e settimanali non sappia già.

L'operazione di peace-enforcement è una deliberata negazione della verità fattuale. Tutte le funzioni di costruzione e rispetto della pace in Iraq sono alla malora. Sono fallite le operazioni per creare condizioni di sicurezza necessarie a negoziare la risoluzione del conflitto (funzione militare). Non si soccorre la popolazione (funzione umanitaria). Non si promuove la riconciliazione nazionale (funzione sociale). Appare destinata a diventare guerra civile la nascita di un governo legittimo (funzione politica).

L'Iraq è, in ogni città e villaggio e angolo di deserto, un campo di battaglia. Lo ammette il rapporto americano, una volta liberato dagli omissis: "Dal 1° novembre 2004 al 12 marzo 2005, ci sono stati nella sola area di Bagdad 3.306 attacchi, di cui 2400 contro le forze della coalizione. Il numero degli attacchi sale a 15.257 se si considera l'intero territorio dell'Iraq: gli Stati Uniti considerano l'intero paese zona di combattimento".

In questo scenario l'impostura della "missione di pace" deve dimenticare guerra, morte e politiche storte. Quando un cittadino italiano finisce nelle mani delle bande di guerriglia o di formazioni terroristiche consideriamo il sequestro un "national issue", come dice Cossiga, una faccenda privata. La gestione di "un affare interno" si può truccare a piacere, secondo la contingenza e soprattutto in segreto. Da sempre, la segretezza e l'inganno sono considerati mezzi legittimi per il raggiungimento di scopi politici. E' però in questo scarto tra verità e menzogna, tra sostegno alle decisioni del governo e servizio alla sicurezza del Paese che affiora un protagonista strategico della politica del governo Berlusconi, l'intelligence militare.

Berlusconi non ne parla. Curiosamente, nell'intervento alla Camera, non cita neppure il Sismi. Neanche per ringraziarlo. Mossa furba. E' nel legame di Berlusconi con l'intelligence, e dell'intelligence con il governo, che si toccano i fili sensibili di questa storia e si scova qualche verità e significato politico in un affare che, altrimenti, rischia di diventare soltanto un maneggio di spie.

In quest'affare - che non è soltanto la morte di Calipari, ma la storia della nostra avventura in Iraq - gli agenti segreti hanno fatto il loro lavoro creando le condizioni per oscurare il rapporto tra i fatti e le decisioni. Per i sequestri, ad esempio. Ci è stato raccontato che i tre body-guard furono liberati dai "nostri" e invece "i nostri" non c'entravano. Per giustificare un fallimento, fu suggerito ai media che Enzo Baldoni fosse stato ucciso dai suoi carcerieri perché aveva tentato di ribellarsi. Colpa sua. E' stato negato di aver pagato un riscatto per le due Simone. Si sono volute tacere le condizioni del sequestro di Giuliana Sgrena.

Non c'è da vergognarsi, conviene ripetere, che per le due Simone sia stato pagato un riscatto, ma la nuova crisi, con Giuliana prigioniera (pur se liberata con un riscatto), avrebbe dovuto imporre una riflessione pubblica, nuovi e condivisi impegni politici perché la Sgrena, come il Sismi dovrebbe sapere, è stata sequestrata dagli stessi uomini che hanno intascato il denaro per le Simone. L'essenziale dettaglio mostra come gli italiani siano diventati bocconi ghiotti, "obiettivi privilegiati": il governo di Roma paga, subito e in contanti. La debolezza della nostra politica espone e non protegge dall'aggressione di banditi, guerriglieri, terroristi, dall'ostilità del comando americano e, quel che più conta, lascia le spalle scoperte a tutti gli italiani costretti a stare in Iraq. Non tanto i giornalisti, oggi richiamati, ma coloro che per lavoro devono ancora stare in quel Paese: diplomatici, uomini d'affari, body-guard, lavoratori dell'industria del petrolio. Non ultimi, i nostri tremila soldati.

Queste informazioni sono state negate all'opinione pubblica e anche a chi, come l'opposizione, è stato associato alle decisioni di trattare e pagare. Se Nicola non fosse morto in un "incidente", questa strategia che condiziona la politica estera e interna del Paese si sarebbe riprodotta ancora. Nicola è morto e il congegno, che ha confuso l'opinione pubblica dopo l'11 settembre, si è rotto. La menzogna oggi si rivolta contro chi l'ha costruita e impone di aprire il libro e leggere come sono andati davvero i fatti in questi anni. Qualcosa già sappiamo.

L'intelligence militare (di fatto, la sola intelligence di cui dispone il Paese) si è trasformata da agenzia di informazioni necessarie alla sicurezza nazionale, in una squadra di "problem-solvers" e uomini di mano capaci di trasformare, a uso politico, le ipotesi in realtà e le teorie in fatti accertati. E' nelle stanze del Sismi, a palazzo Baracchini, che passa il dossier "Nigergate". Lo combina un collaboratore del Sismi sotto gli occhi della "sonda" del servizio nell'ambasciata nigerina a Roma.

Accredita che Saddam si stia procurando uranio arricchito dal Niger per la sua bomba sporca. E' il caso di ricordare che Bush afferra quella (falsa) evidenza per dare inizio alla guerra. E' il Sismi che tesse il filo con Michael Ledeen, l'inviato del Pentagono (poi scaricato: troppo agitato), in vista di una espansione del conflitto all'Iran degli ayatollah. E' il Sismi che crea in Italia, con il costante allarme di attentati (alle metropolitane di Milano e Roma; alla basilica di san Pietro; alla nostra ambasciata a Beirut, per dirne qualcuno), un clima emotivo e caotico, che convince una parte di opinione pubblica ad accettare, come una necessità, la "missione di pace" in Iraq.

Al Sismi sembrano sapere che le menzogne sono spesso molto più plausibili, più ragionevoli della realtà stessa. Chi mente ha il grande vantaggio di sapere in anticipo quello che il governo desidera o il pubblico si aspetta di sentire. E' quel che accade da noi, e non solo negli Usa. La manipolazione dell'opinione pubblica, i dossier farlocchi, le informazioni bugiarde hanno preparato la guerra; hanno costruito (artificiosi) "pericoli concreti e imminenti" per l'Italia; hanno giustificato l'invio dei soldati in Iraq; hanno legittimato le scelte del governo anche quando è stato costretto a truccare le carte con l'alleato per riportare a casa i nostri "prigionieri di guerra".

Se non si vuole rinunciare alla verità, anche in nome del sacrificio di Nicola Calipari, bisogna sentire il dovere di scrivere questa storia dall'inizio, con tutti i capitoli giusti. Nella speranza che i prossimi possano essere più rispettosi della verità. Senza un'informazione basata sui fatti e non manipolata - ha scritto ancora Hannah Arendt - "ogni libertà d'opinione diventa una beffa crudele".

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