Da Il Mattino del 20/11/2003

Nassiriya nel mirino di nuovi kamikaze

di Vittorio Dell'Uva

Le muraglie di «escobastian», le protezioni campali fatte di sacchi zeppi di sabbia e pietriccio, diventano sempre più alte intorno agli accampamenti degli italiani. Dove è possibile le scavatrici creano profondi fossati, mentre più fitta diventa la rete di filo spinato. Potrebbe apparire una misura tardiva dopo il massacro del 12 novembre, che ha frantumato l'illusione di una città impermeabile al terrorismo e alle erosioni del fragile tessuto sociale da parte di nostalgici del regime, che hanno invece ritrovato vigore.

Tutto sembra indicare che l'eccidio degli italiani sia rientrato in una strategia più ampia, tendente ad allargare fino al sud dell'Iraq il circuito del terrore del post Saddam. Un'altra strage, dagli effetti destabilizzanti, era già stata pianificata. Per la seconda volta in pochi giorni, il lutto avrebbe dovuto colpire le forze della coalizione a Nassiriya.

Il colonnello dei carabinieri Carmelo Burgio, comandante dello Msu, è convinto che una «minaccia concreta è stata sicuramente neutralizzata» grazie al fermo, avvenuto giovedì scorso, di quattro persone, sospettate in un primo momento di avere in qualche misura collaborato all'attacco alla casermetta degli italiani. Con il massacro - è stato accertato - non c'entrano. Ma in loro è stata individuata una cellula pronta a colpire in nome della nuova Jihad irachena. Venivano da un Paese non troppo lontano, l'Arabia Saudita, in cui le spinte antioccidentali ed estremiste si sono fatte evidenti nell'ultimo mese. Non è escluso che fossero pronti a morire in una operazione suicida. Di sicuro li aspettava, per l'attentato che avevano pianificato, un ruolo primario. Come quello che avrebbero compiuto di recente a Baghdad contro i marines.

L'elenco dei loro possibili obiettivi, a Nassiriya, è abbastanza ristretto. Lungo la strada per Baghdad sorge, in una depressione del terreno ed un po' troppo esposto, un edificio che ospita la Cpa, l'amministrazione provvisoria, e il Cimic, l'organizzazione civile-militare messa su dagli italiani che lavora alla ristrutturazione del Paese. Nel centro della città è rimasto, per quanto ormai inaccessibile, il comando generale dei carabinieri. Sulle strade è intensa, con tutti i rischi che la cosa comporta, la presenza delle truppe italiane chiamate a proteggere obiettivi sensibili. Soltanto la base «White horse» e il distaccamento all'aeroporto di Tallil possono essere considerati difficilmente attaccabili, se non si fa ricorso all'uso di razzi con un gittata superiore ad un paio di chilometri.

I quattro sauditi, che sono stati consegnati agli americani, non disponevano di lanciagranate ma avrebbero potuto procurarsi esplosivo. Qualche ammissione, durante gli interrogatori, sembra averli inchiodati. Avrebbero precedenti che pesano. Che appartenesssero all’anonima manovalanza della guerriglia è da escludere. Anzi sembrano personaggi che contano. Sulla loro presenza in città, nei giorni precedenti all'attentato, avevano preso ad indagare alcuni dei carabinieri che poi hanno perso la vita. «Qualcosa i quattro hanno dichiarato alla fine», dice restando nel vago il colonnello Carmelo Burgio. Non sembra che a Nassiriya godessero di grandi complicità. Il proprietario della casa che li ospitava è risultato all'oscuro di tutto. Erano da soli quando sono stati fermati in una zona di periferia scarsamente abitata.

Il pericolo è stato sventato, ma dove si è insediata una cellula è probabile che ve ne siano altre pronte ad agire. Molto può passare attraverso una breccia. «L'area è effettivamente ad altissimo rischio per quanto riguarda la possibilità di attentati terroristici. Vagliamo ciascuna delle segnalazioni che ogni giorno ci arrivano» dice, anche in relazione all'allarme lanciato dal Sismi, il colonnello Gianfranco Scalas, portavoce del contingente italiano. Il livello di allerta, nelle ultime 48 ore, non è stato elevato, ma la sicurezza si è trasformata in esigenza primaria anche se si prova a non pregiudicare il rapporto con la popolazione locale: in un isolamento fine a se stesso, la gente potrebbe intravedere un atteggiamento «all'americana» che in Iraq non gode di troppi favori. Più di un’esigenza va contemplata.

Ne è derivato un lavoro più duro. La fascia di sicurezza creata intorno alla base «White horse» è tenuta sotto controllo di notte grazie a speciali visori. Qualche trappola in grado di far scattare l'allarme è stata resa invisibile. Ogni pattuglia che si muove sulle strade è dotata di mitragliatrice pesante. Viene accelerato un programma di protezione che ha necessariamente i suoi tempi. Gli uomini del Sismi selezionano i rapporti dei loro informatori che riescono a penetrare gli ambienti della malavita, e prestano molta attenzione alle chiacchiare da bazar e soprattutto ai sermoni del venerdì degli imam. Come in ogni angolo del mondo arabo più inquieto, nel bene e nel male è attraverso la preghiera che spesso viene indicata la strada che i fedeli sono chianati ad imboccare.

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