Da Il Mattino del 17/11/2003

Quattro fermati per il massacro di Nassiriya. I carabinieri: coinvolti in un agguato a Baghdad

di Vittorio Dell'Uva

Non si fa a tempo a seppellire i morti del terrorismo e della guerriglia che altre tragedie si annunciano nell’Iraq occupato. Saddam Hussein ritrova il megafono di «Al Arabiya», la televisione degli Emirati, e lo usa per chiedere al popolo di unirsi alla resistenza. E nel tentativo di recuperare consenso mette a nudo le difficoltà della coalizione: «Le sue forze sono in stallo. Altri soldati moriranno se non lasceranno il Paese», minaccia. Sa che qualcuno lo ascolta. Il contingente italiano ha appena tragicamente scoperto che i suoi appelli possono essere raccolti anche nelle regioni che non erano fedeli al regime. Sette mesi dopo la fine della guerra tutto conferma che il rais dispone di una sua «rete» che tende ad estendersi. Nella quale, forse, gli investigatori italiani potrebbero avere appena aperto una breccia.

«Abbiamo individuato quattro persone che ragionevolmente potrebbero essere implicate nell'attentato alla nostra caserma ed in altre azioni terroristiche avvenute in Iraq. Pensiamo che abbiano colpito a Baghdad», dichiara il colonnello dei carabinieri Carmelo Burgio, appena insediato al comando della Msu, il reparto decimato dai kamikaze. Più che una svolta sembra uno squarcio che può condurre alla verità e ai mandanti.

Ai quattro si è arrivati attraverso l'incrocio di informazioni di intelligence e le dichiarazioni spontanee di alcuni cittadini di Nassiriya, che hanno ricevuto da alcuni notabili l'ordine di cooperare. «Voglio che gli italiani sappiano che è stato compiuto un crimine contro l'Islam e che la violazione delle leggi di Dio, nei giorni del Ramadan, per noi è intollerabile», ha voluto dire al generale Stanu, comandante del contingente, lo sceicco Taled Mohammed Al Nasrallah, dignitario di grande influenza. Altri leader, deplorando pubblicamente l'attentato, hanno indicato la linea che i propri clan dovranno tenere «per non rovinare i rapporti con gli italiani».

I carabinieri garantiscono che nel covo in cui i quattro sono stati sorpresi «c'erano armi e materiale documentale, sia pure in quantità non ingente, ma che potrebbe rivelarsi importante». È improprio, comunque, parlare di arresti. I sospettati, trattenuti nella sede della Msu, dispongono di una tenda dove è possibile riunirsi in preghiera nelle ore in cui il Corano lo impone. Hanno scelto, però, di parlare solo con il loro Dio dopo essersi chiusi in un mutismo assoluto. Erano ospiti a Nassiriya di amici che presto saranno chiamati a chiarire la natura dei loro rapporti. Se non a svelarne l'identità e la nazionalità. Ancora non si è riusciti a scoprire se siano iracheni o se provengano da altri Paesi vicini. Sembra soltanto accertato che non risiedono nell'area di Nassiriya.

Più che mai è presto per dire se sono legati ad Al Qaida (solo a tarda sera, da Londra, è rimbalzata anche qui la notizia della rivendicazione della strage di Nassiriya con un messaggio che sarebbe firmato da Al Qaida). «Tre giorni non sono molti per un’indagine tanto complessa», ammette il colonnello Burgio sperando che sulla base di alcuni riscontri si possa presto stabilire, senza ombra di dubbio, che i quattro fermati hanno svolto il ruolo, non secondario, di fiancheggiatori del gruppo di kamikaze. Molto c'è da vagliare, procedendo con piedi di piombo. I testimoni iracheni non sembrano reticenti, ma tendono ad enfatizzare le informazioni di cui sono in possesso nella segreta speranza di trarne qualche vantaggio. L'apporto della polizia locale non può rivelarsi che limitato. Che sul luogo degli attentati possano essere trovati indizi che conducano ai quattro, è considerato molto improbabile.

L'inchiesta è destinata a svilupparsi lungo un percorso assai insolito. In Iraq non ci sono archivi in cui attingere, né si può godere di supporti informatici. Ma attraverso l'esame del Dna è possibile risalire al gruppo familiare allargato e alla tribù di appartenenza dei kamikaze. In Bosnia il metodo fu utilizzato per l'identificazione di corpi ritrovati in fosse comuni. Una sofisticata indagine può, non soltanto restringere il cerchio, ma anche stabilire se c'è un legame di sangue tra gli autori della strage di Nassiriya e quanti hanno cercato altrove il «martirio» nella loro lotta, senza limiti, contro l'Occidente. Il Racis, la «scientifica» dell'Arma dei carabinieri, sta provando a recuperare ogni brandello di corpo umano ritrovato nel cratere provocato dalla esplosione o recuperato tra i frammenti dell’autocisterna imbottita di esplosivo che ha causato il massacro. Si prova anche a stabilire se davvero è stata utilizzata anche un'auto per l'attentato alla casermetta dei carabinieri. Le sentinelle che erano sui tetti dei due edifici della MSU che si trovano sulle due sponde dell'Eufrate, sostengono di non averla notata.

Molto sul terreno, dal punto di vista della sicurezza è cambiato, anche se, nell'ottica del colonnello Burgio, i nuovi dispositivi non stanno ad indicare che le misure precedentemente adottate fossero insufficienti. L'unità di manovra dei carabinieri include da ieri altri cinquanta paracadutisti del Tuscania. Presto arriveranno dall'Italia mezzi cingolati da utilizzare per i servizi di pattugliamento e le cui lamiere possono resistere all'impatto delle granate. Alle difese passive si lavora istallando reticolati di filo spinato intorno alle basi. Quando Nassiriya sembrava destinata a restare fuori dal circuito della resistenza irachena, i carabinieri si potevano permettere di svolgere il loro lavoro evitando di mostrarsi in assetto di guerra.

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