Da La Repubblica del 14/11/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/k/sezioni/esteri/iraq7/diama/diama.html

IL COMMENTO

La scoperta della vulnerabilità

di Ilvo Diamanti

NON SIAMO più spettatori. Osservatori. Attori non protagonisti di tragedie interpretate da altri. L'attentato di Nassiriya, con il suo sanguinoso bilancio di vittime fra i carabinieri, ha messo fine a questa condizione (e convinzione) peraltro privilegiata. Ha, invece, denunciato e reso evidente la nostra vulnerabilità. Non sono più, gli italiani, al sicuro (per quanto possibile) nelle missioni di pace, cui partecipano. La loro capacità di instaurare relazioni di fiducia con le comunità delle zone in cui operano, non li tutela più.

Perché sulla scena della guerra globale essi appaiono nemici. E noi, il nostro paese, diventiamo, ci sentiamo, un bersaglio possibile. Dice il sondaggio condotto da Demos ed Eurisko per La Repubblica, a poche ore del tragico episodio, che sette italiani su dieci considerano probabili nuovi attentati ai danni delle nostre truppe. Ma gli italiani vedono incombere la minaccia del terrorismo - il volto della guerra globale senza volto - anche su se stessi. A casa loro. A casa nostra. Oltre il 60% degli intervistati teme che, nei prossimi mesi, in Italia si verifichino nuovi attentati terroristici. Una quota molto più ampia, quasi il 20% in più, rispetto a sei mesi fa, all'indomani della caduta del regime di Saddam Hussein.

L'emozione e l'inquietudine si mescolano; scuotono il sentimento sociale. Ma non hanno modificato gli orientamenti di fondo, sulla questione. Gli italiani: non hanno cambiato idea sull'intervento in Iraq. Sette mesi dopo la fine dell'operazione militare, e dopo la lunga catena di attentati senza fine, continuano a dirsi contrari alla guerra in Iraq. Anche se molti di essi le riconoscono il merito di aver prodotto il crollo del regime di Saddam Hussein. Sarebbero disposti, quattro italiani su dieci, a marciare ancora in nome della pace, a riempire le strade e le piazze, com'era avvenuto la scorsa primavera, durante la lunga vigilia dell'intervento. Tuttavia, la maggioranza degli intervistati guarda con favore la missione italiana in Iraq. La diffusa domanda di pace, l'ampia critica della società verso l'intervento militare guidato dagli Stati Uniti rimangono; ma non smentiscono, agli occhi dei cittadini, l'utilità dell'impegno espresso dalle nostre truppe. Tanto in quanto è concepito come un contributo alla solidarietà, alla sicurezza. Un mezzo per restituire qualche traccia di normalità sociale e di democrazia in un paese devastato.

Gli italiani: si sentono spaesati e impauriti. Incalzati dalla guerra. Ma, nonostante l'incertezza, nonostante l'inquietudine, la maggioranza di essi non ritiene opportuno fare rientrare le truppe impegnate in Iraq. Una maggioranza ridotta. Spinta, soprattutto, dal timore che abbandonare il campo significhi lasciare dietro a sé caos e macerie. E ulteriore spazio al terrorismo. Anche se altri sono i responsabili di una situazione tanto precaria.

E' come se il dolore e l'emozione rendessero acuta la paura di rassegnarsi al dolore e all'emozione. Di cedere, arrendersi al ricatto della violenza. E' penoso, ma comunque lucido, l'orientamento dei cittadini. Il loro giudizio nei confronti dei diversi attori della vicenda irachena, non a caso, risulta chiaro e fondato. Gli italiani: continuano a dimostrarsi critici e disillusi, nei confronti degli Stati Uniti, che riscuotono la fiducia del 32% degli intervistati. Quasi il 10% in meno rispetto allo scorso aprile, dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Perché l'Iraq non è stato pacificato e il terrorismo appare lungi dall'essere sconfitto, come dimostra la lunga scia di sangue, che ha segnato il calendario dei mesi scorsi. Ma lo stesso grado di fiducia, o meglio: sfiducia, contrassegna anche l'atteggiamento verso il governo. La cui posizione ambigua, ai tempi dell'intervento, ha suscitato distacco e dissenso. Sentimenti che il tempo non ha riassorbito. Mentre è cresciuta, sensibilmente, la sfiducia verso l'Unione europea (10% in meno, rispetto a sette mesi fa), impotente, divisa, di fronte alla crisi irachena. Incapace di incidere. Di esprimere una posizione. Di dare un'idea comune di sé. Un'idea. E uguale delusione si registra nei confronti delle Nazioni Unite. Che non è stata in grado, ieri, di contrastare le scelte degli Usa, mentre oggi sono colpite, come nemici, dal terrorismo in Iraq.

Così, agli italiani restano pochi riferimenti comuni. Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che continua a registrare alti livelli di consenso. I più alti, fra le cariche politiche e istituzionali. Forse perché dice agli italiani le parole che essi vogliono sentirsi dire. Perché offre una sponda, un riferimento unificante a una società che vorrebbe trovarsi unita, almeno di fronte alle tragedie. E invece si specchia in un sistema politico, puntualmente diviso.

Ma soprattutto si raccolgono attorno ai carabinieri, gli italiani. Tutti. Per la pietà e la partecipazione suscitata da questa tragedia. E perché i carabinieri rappresentano la difficile strada verso la pace successiva in tempi di guerra preventiva.

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