Da Il Messaggero del 09/03/2005

Beirut, un milione al corteo pro-Siria

di Marcella Emiliani

GLI sciiti libanesi hanno deciso di scendere in campo e l’hanno fatto alla grande. Ieri Beirut è stata letteralmente invasa da centinaia di migliaia di manifestanti: c’è chi dice 100.000, chi 200.000, Hezbollah parla addirittura di un milione e mezzo di persone fatte affluire nella capitale con autobus, camion, auto, qualsiasi mezzo, da tutte le parti del Libano. E’ stata la risposta alle manifestazioni di piazza che, dall’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, avvenuto il 14 febbraio scorso, hanno chiesto insistentemente e in maniera pacifica il ritiro delle truppe siriane dal piccolo Paese dei cedri. E lunedì scorso il presidente siriano Bashar al-Assad e il suo omologo libanese Emil Lahoud hanno firmato un accordo proprio per avviare il ridispiegamento dei 14.000 militari siriani di stanza nella valle della Be’eka. A che è servita allora la dimostrazione di ieri, se comunque Damasco ha deciso di cominciare a sgombrare dal Paese vicino? Se si va a spulciare l’elenco delle 30 e più organizzazioni che hanno dato vita alla dimostrazione di Beirut si trova tutto e il contrario di tutto, quasi uno spaccato della storia dell’intero Medio Oriente. Innanzitutto le due formazioni più importanti della comunità sciita, Hezbollah ed Amal, l’una armata, l’altra no; poi partiti laicissimi, come i Nasseristi o il Ba’th libanese, anche per combattere contro i quali negli anni ’80 nacquero le organizzazioni islamiste come Hezbollah; e ancora schegge palestinesi filo-siriane e non poche Camere di commercio di diverse città del Libano. L’unica cosa che li accomuna non è certo l’ideologia, ma il fatto di essere nati, prosperati o sopravvissuti sotto la grande ala siriana. E proprio loro si sono assunti l’onere di gridare ad alta voce quello che i siriani non possono più gridare, ovvero, come si leggeva ieri sugli striscioni:«No alle ingerenze straniere in Libano», «Fuori gli Stati Uniti», «No alla 1559». Proprio perché la comunità internazionale sentisse chiaro e forte quello che avevano da dire, i dimostranti si sono dati appuntamento alla Place Riad Solh di Beirut, dove c’è la sede dell’Onu in Libano, a poche centinaia di metri da quella Piazza dei Martiti che è stata teatro della «rivoluzione rosa» degli oppositori alla presenza siriana. La tesi degli Hezbollah, i veri animatori della grand kermesse di ieri, è molto semplice: costringendo la Siria ad andarsene dal Libano, gli Stati Uniti e l’Onu intendono in realtà indebolire i regimi di Damasco e di Teheran, già nell’occhio del ciclone americano; dunque difendere la Siria e l’Iran significa lottare per l’indipendenza del Libano stesso. Indipendenza che, gli sciiti soprattutto, sentono minacciata se le truppe siriane se ne andranno davvero, lasciando il Paese alla mercè delle trame destabilizzatrici degli Usa e di Israele. L’avversione alla 1559 dell’Onu (secondo loro frutto delle medesime trame) è motivata non solo perché la risoluzione prevede il ritiro delle truppe della Siria, ma anche perché prevede il disarmo completo di tutte le formazioni libanesi, e dunque soprattutto di Hezbollah, l’unica milizia dell’epoca della guerra civile ad essere ancora armata. Si devono sentire deboli gli sciiti del Libano per aver bisogno ancor oggi di un loro esercito e del ”protettorato“ siro-iraniano. Fatto sta che scendere in piazza è comunque servito loro per mostrare agli altri libanesi e al mondo intero che non potrà esserci alcuna soluzione pacifica per il futuro del Libano senza di loro e i loro padrini a Damasco e a Teheran. E chi vuol capire, capisca.

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