Da La Repubblica del 17/11/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/esteri/condi/ritratt/ritratt.html

La storia di Condoleezza Rice: dall'infanzia vissuta tra le lotte razziali alle stanze del potere di Washington

La ragazza del Profondo Sud cresciuta "combattendo" l'Urss

di Alberto Flores D'Arcais

NEW YORK - Un miglior regalo di compleanno non poteva averlo. Quando domenica scorsa ha festeggiato i suoi 50 anni - con una festa "blindata" e tenuta segreta fino all'ultimo - Condoleezza Rice ha capito da un brindisi particolare con George W. Bush che i giochi erano fatti: sarebbe stata lei a sedere sulla poltrona che fu di Thomas Jefferson, in tempi più recenti di Henry Kissinger e fino ieri dell'amico-nemico Colin Powell.

Niente male per una ragazza di Titusville - periferia di Birmingham, Alabama - quartiere di middle-class nera sempre in bilico tra vita decente e povertà e dove i figli degli insegnanti, dei ministri di culto e di qualche avvocato benestante imparano subito che se vogliono sfondare nella vita devono darsi da fare il doppio dei bianchi, ma senza piangersi addosso. Lezione che quella bambina dal nome buffo - chiamata così per via di un padre ammiratore dell'opera e di un funzionario comunale un po' tonto che storpiò "Condolcezza" in Condoleezza - imparò talmente bene da essere considerata già adulta quando aveva a malapena otto anni. Era il 1963 e nel profondo sud arrivavano gli attivisti dei diritti civili mentre i neri marciavano sfidando la polizia e i killer del Ku Klux Klan. Per Condoleezza l'età dell'innocenza finì allora, quando le bombe razziste esplodevano nel vicinato e il padre adorato era costretto a pattugliare le strade con la pistola in mano, quando la Chiesa Battista della 16esima strada venne fatta saltare per aria con dentro quattro bambine ed una era una sua compagna di scuola.

La sua è la storia di una ragazza prodigio. A 15 anni è già al college e a 26 ottiene un PhD in Foreign Affairs all'università di Denver dove incontra colui che la convince a lasciare la sua passione per il pianoforte e a gettarsi anima e corpo nello studio delle scienze politiche. Si chiama Joseph Korbel, è un esule cecoslovacco che ha una figlia destinata, per lo strano gioco delle coincidenze, a diventare la prima donna a capo del Dipartimento di Stato: Madeleine Albright.

Nel 1981 arriva in California, chiamata a lavorare nel dipartimento di studi internazionali della prestigiosa università di Stanford. Lì studia il russo e la politica sovietica, lì affina i suoi interessi per la deterrenza nucleare e frequenta i cervelli repubblicani della Hoover Institution. Di Stanford diventerà anche la "provost", rettore amministrativo. I suoi studi sull'Unione Sovietica la portano nel 1989 per la prima volta alla Casa Bianca, dove inizia a lavorare con Bush padre. Da una posizione defilata osserva e analizza l'"impero del male" che si sta sgretolando ma il suo carattere di dura viene notato quando chiamata a far parte della delegazione che sta negoziando con Mosca i tagli agli arsenali nucleari tiene testa senza timori ad un vecchio mastino come il maresciallo Akhromeyev.

Della sua vita privata non si sa nulla e in molti malignano sul fatto che non ne abbia mai avuta una. Riservata e tranquilla, anche se in privato non disdegna divertimenti e qualche goliardata, attenta a ogni singola parola anche se ogni tanto gli sfugge una gaffe; come quando, durante un'intervista, definì George W. Bush "mio marito". A suo modo lei "moglie" del presidente lo è, moglie politica nel senso migliore del termine: consigliere, aiuto nei momenti difficili, pronta a farsi da parte quando la scena deve essere tutta per il "suo uomo".

Nel maggio del 2002 arrivò sorridente accanto al presidente nella sala Theodore Roosevelt della Casa Bianca dove quattro giornalisti della "Old Europe" erano stati invitati ad intervistare George W. Bush prima del suo viaggio nel Vecchio Continente. Le liti sull'Iraq erano ancora lontane, ma il senso di frustrazione che il presidente aveva verso gli europei, che non capivano la nuova sfida lanciata da Al Qaeda, era evidente. E il presidente guardava sempre "Condi", quasi a cercarne l'approvazione alle domande più difficili, ricevendo in cambio ampi cenni con la testa e qualche largo sorriso alle battute più riuscite.

Con George W. del resto la sua sintonia politica (e umana) è perfetta. Era stata lei la sua prima "insegnante" di politica estera, quando gli uomini della Hoover Institution l'avevano inviata a fare da balia a quel governatore del Texas così poco preparato. E le lezioni sono continuate in questi quattro anni alla Casa Bianca, durante le frequenti conversazioni tra i due nei fine settimana trascorsi a Camp David e nel ranch texano a Crawford. Una telepatia che raggiunge i massimi livelli la sera, quando Bush, che pure ama andare a letto presto, vuole vederla e discutere con lei prima di ritirarsi per la notte.

Nel giugno del 2003 a Stanford, dove aveva accettato di partecipare a un seminario della "Knight Fellowship" per discutere con un gruppo di giornalisti americani e internazionali le conseguenze della guerra in Iraq appena "conclusa". Era un seminario, ma finì con una bella bevuta di birra - e qualche passo di danza sotto gli occhi esterrefatti degli agenti dei servizi - nel pub del campus di Palo Alto.

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