Da Corriere della Sera del 03/11/2004

Neri e ispanici, la carta dei democratici

Ma nelle ultime ore la mobilitazione dei repubblicani ha portato alle urne migliaia di sostenitori

di Gianni Riotta

NEW YORK - Il senatore democratico John Forbes Kerry era nella serata di ieri avanti, sia pure di un soffio, nei confronti del presidente repubblicano George W. Bush. Gli exit poll e le proiezioni consultate dal Corriere della Sera confermavano una corsa ancora aperta, con possibili capovolgimenti di fronte, ma assegnavano un vantaggio, fragile, allo sfidante, che potrebbe diventare decisivo se fallisse la vigorosa mobilitazione della base repubblicana all’ultima ora. In Florida un exit poll delle ore 21 dava i due candidati 50 e 50. In Ohio, Stato combattuto all’ultima scheda, Kerry era avanti 50 a 49: nessun presidente repubblicano nella storia degli Stati d’America è mai stato eletto senza avere l'Ohio nel carniere, e se questi exit poll tenessero Bush non toccherà la quota decisiva di 270 punti.

In Pennsylvania, altro Stato in altalena che il consigliere di Bush Karl Rove era certo di vincere, le proiezioni assegnano a Kerry un vistoso 58% relegando il presidente al 42%. In Colorado Bush avanti, 51 a 48, ma in New Mexico Kerry avanti sul filo di lana grazie all’impegno del governatore Bill Richardson e dei latino-americani. Bush si conferma in North Carolina, malgrado l'apporto del sudista candidato vicepresidente John Edwards, e controllerebbe il 52% dei voti. In Wisconsin, Kerry 52%, Bush 48. In New Hampshire, Kerry è nato nel vicino Massachusetts, il senatore è al 53%. In Michigan Bush deve invece ripiegare le speranze di vittoria in terra democratica, con Kerry avanti 52 a 47. In Minnesota Kerry 54, Bush 44. In Iowa, lo Stato che frustrò le ambizioni di Howard Dean alle primarie, Kerry 50%, Bush a un’incollatura, 49%.

I primi Stati assegnati non riservavano sorprese con Kerry vincitore nella regione del New England e Bush padrone del Sud. Il New Jersey si confermava democratico malgrado la rimonta di Bush nelle ultime settimane. Ma quando, intorno a mezzogiorno, s’è delineata la fuga di Kerry la poderosa macchina elettorale repubblicana s’è messa in movimento, per provare a contenere l’onda, reclutando ogni possibile elettore. Le due banche dati dei partiti, «La Cassaforte» che raccoglie gli identikit di milioni di votanti repubblicani e «Demzilla» (Godzilla democratica) che raccoglie i dati sui simpatizzanti di Kerry, hanno sfornato indicazioni su indicazioni, spingendo volontari e militanti a telefonare, offrendo passaggi verso i seggi, spiegando quanto la situazione fosse drammatica.

John Kerry è, mentre scriviamo, avanti nei sondaggi grazie all'impegno, che un suo consulente definisce in lacrime «commovente», delle comunità afroamericana e ispanica. In tutti i distretti neri, molti nei ghetti delle periferie più povere, migliaia di cittadini hanno fatto la coda per ore, con incrementi fino al 109% rispetto al voto del 2000. È, spiegano gli esperti, la rivalsa per i voti cancellati in Florida nel 2000 nelle zone afro-americane. Uno dei funzionari che su «Demzilla» cura le informazioni sulla comunità nera non ha dubbi: «Il voto di noi neri in America è ancora oggi intriso di sangue e lo schiaffo dei voti a Gore annullati brucia. Stiamo votando in massa». Altrettanto forte, però, è la mobilitazione per Kerry della comunità ispanica, da sempre più divisa tra i due partiti. Gli exit poll indicano stavolta una decisa maggioranza per Kerry. Il voto femminile, che alcune stime assegnavano in parità, starebbe invece premiando i democratici e, unito alla scelta delle minoranze e ai voti d'opinione, potrebbe formare una coalizione vincente per John Kerry. Gli esperti repubblicani invitano però alla calma segnalando come nell contee rurali della Florida il presidente resta avanti e in Ohio le lunghe code ai seggi punteggiano sia i distretti dell’opposizione che quelli fedeli a Bush.

Dall'inverno passato lo stato maggiore democratico, Kerry, Edwards, il populista Bob Shrum, la kennediana Mary Beth Cahill, il pragmatico John Sasso, che vuole vendicare la sconfitta di Mike Dukakis contro Bush padre nel 1988, i clintoniani James Carville e Paul Begala, non ha mutato strategia. Inutile provare a convincere il 49% degli elettori che stanno dalla parte del presidente, meglio riportare alle urne la massa che ha votato Gore, spostando un solo Stato, sia pur piccino come il New Hampshire con i suoi 4 punti. La scommessa, che Howard Dean il candidato radicale aveva contestato da sinistra e non pochi moderati da destra, potrebbe pagare, ma il margine risicato di vantaggio e l'estrema corsa ai voti dei repubblicani non permette ancora a Kerry e Edwards di stappare lo champagne.

Proiettati in campo nazionale, i sondaggi assegnerebbero a John Kerry il 50% dei voti, lasciando a Bush il 49%. Sarebbe la conferma di un trend storico più affidabile del miglior rilevamento. Da quando la statistica scientifica è stata applicata alla politica americana, nessun presidente ha mai ricevuto in novembre più voti di quanti punti percentuali di consenso avesse a giugno, e tutti i presidenti che a giugno erano sotto il 50% sono stati sconfitti. Da cinque mesi George W. Bush è fermo a quota 49% nell'indice di gradimento ed era quindi giocoforza prevedere che questa sarebbe stata la sua quota elettorale nel Giorno dei Morti. Più difficile prevedere la distribuzione sul territorio, dove un 49% può bastare a raccogliere 270 punti. Se il 50% che gli exit poll attribuiscono a Kerry si confermerà chiusi i seggi e se la macchina di Rove non rastrellerà abbastanza votanti, la sorpresa delle elezioni 2004 scatterà. Ben Ginsberg, uno degli avvocati repubblicani che nel 2000 garantì in Florida la vittoria di Bush, si gratta la barba rossa dicendo: «Noi repubblicani abbiamo affidato la mobilitazione dei nuovi elettori, fino a 10 milioni in potenza, a gruppi di professionisti stipendiati. I democratici hanno appaltato il porta a porta ai volontari e vedremo chi avrà avuto ragione».

Da giorni migliaia di volontari di Kerry hanno lasciato casa e lavoro e si sono trasferiti armi e bagagli negli Stati in bilico, per chiamare a raccolta i fedeli. Il loro sforzo di formichine sembra avere pagato, almeno nel confermare il pacchetto di voti del partito. Chiunque venga eletto stanotte, non sono evitate a priori le contestazioni, ci sono macchine che non funzionano da New York all'Ohio e 19.000 avvocati sono pronti ai ricorsi, drammatici con la malattia del capo della Corte Suprema, William Renhquist, che lascia i giudici costituzionali impallati quattro contro quattro. Se il rito delle moviole politiche fosse scongiurato e questi primi precari dati venissero confermati, la vittoria di John Forbes Kerry si dovrebbe alla straordinaria mobilitazione del partito che ha saputo unire. E dalla Casa Bianca gli toccherebbe riunire invece il Paese. Ma tutto questo è ancora appeso a un uno per cento.

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