Da Corriere della Sera del 30/10/2004

LA SUCCESSIONE

Le mosse del cassiere Rashid e la caccia al tesoro di Yasser

Il duo Abu Ala e Abu Mazen sta gestendo il potere. L’ex premier potrebbe diventare presidente con un cambiamento di legge

di Francesco Battistini

RAMALLAH - Abu Ala, il premier, gestisce il governo. Abu Mazen, il mediatore, guida l’Olp e garantisce i rapporti con la sicurezza. Sono loro due a gestire il post-Arafat. C’è però un terzo personaggio, che preferisce stare nell’ombra. Mohammed Rashid, detto «il curdo». Il cassiere segreto del raìs, un uomo da un miliardo di dollari. Tanti sono i soldi che ha accantonato in fondi segreti sparsi per il mondo (Londra, Tel Aviv, Zurigo). Il tesoro di guerra di Arafat. Ieri Rashid, sostengono fonti diverse, è salito sul jet che ha portato il leader a Parigi. Una presenza importante: perché è «il curdo» che ha la firma sui conti che possono determinare alleanze e spostamenti di «voti». Denaro prezioso. Perché ha consentito e consente di armare milizie, comprare i capetti, ungere i riottosi, calmare gli ambiziosi. Rashid è invidiato e odiato per questo suo ruolo. «Ragioni d’ufficio» lo hanno tenuto lontano dai territori palestinesi. Il Cairo, Londra (dove era fino a qualche giorno fa). Luoghi dove è più facile muovere risorse e investimenti. I maligni insinuano che «il curdo» avesse affittato un appartamento nella zona ovest di Gerusalemme, quella abitata dagli israeliani, perché temeva qualche sorpresa dai «fratelli» che lo avevano dimissionato. E altri maligni sputano veleno su Suha Arafat, accorsa al capezzale del marito. Era preoccupata per i soldi (100 mila dollari al mese), spettegolano a Ramallah e ricordano l’inchiesta francese che ha dimostrato come Suha abbia «gestito» nel periodo 2001-2003 undici milioni di dollari.

Le voci non turbano, almeno in apparenza, l’attuale dirigenza. Tutti fanno un supremo sforzo per dare l’idea di un gruppo unito. Il più attivo è Abu Mazen. Aveva tenuto il primo consulto nella notte di mercoledì, ha riunito di nuovo i collaboratori ieri. Fonti di Ramallah sostengono che nelle ore drammatiche della crisi è stato però decisivo il rientro da Londra di Rashid. Da uomo pratico avrebbe consigliato alcune mosse poi rivelatisi decisive.

L’obiettivo della leadership «temporanea» è quello di cogliere l’opportunità, senza però dare l’impressione di voler fare le scarpe al capo morente. Primo passo potrebbe essere il cambiamento della legge per consentire la promozione di Abu Mazen presidente. L’ex architetto degli accordi di pace di Oslo (1993) ha i favori della diplomazia internazionale, dell’establishment palestinese e di Israele. Da quando si è dimesso dalla carica di premier - perché stufo degli ostacoli frappostigli da Arafat - ha lavorato nell’ombra per assicurarsi il sostegno dei responsabili degli apparati di sicurezza. Uno dei cardini, insieme alla cassa, dell’Autorità palestinese. Fino ad oggi Abu Mazen avrebbe raccolto la fiducia di Jibril Rajub, Amin Al Hindi, Mussa Arafat. Più articolato il rapporto con Mohammed Dahlan. L’ex capo della sicurezza che vuole diventare re di Gaza e, domani, raìs dei palestinesi (con la benedizione di Usa e Israele) continua a manovrare: da un lato coltiva le sue ambizioni, dall’altra evita la rottura con i concorrenti.

L’immagine di leadership collettiva proiettata verso l’esterno avrà oggi il suo primo test. A Ramallah si riunirà il Comitato esecutivo dell’Olp che discuterà del possibile cambiamento della costituzione. E’ un passo delicato. Secondo la legge, in caso di incapacità del presidente, le sue funzioni vengono assunte per 60 giorni dal responsabile del Consiglio legislativo Rawi Fatthu. Ma questi non ha né carisma né prestigio per portare sulle spalle un incarico così pesante. Quindi è emersa l’ipotesi di affidare la poltrona, previo cambio della legge, ad Abu Mazen. Fatthu non ha gradito suscitando consensi tra esponenti della vecchia guardia (come Hani El Hassan), rimasti aggrappati alla kefiah di Arafat. Secondo i dissidenti le manovre sono una sfida al raìs. E’ una piccola fronda, priva di figure di spicco, che però potrebbe essere sfruttata dagli ambienti più radicali.

Per gli analisti israeliani se Abu Mazen e Abu Ala non manovreranno con accortezza e rapidità il quadro potrebbe degenerare in una faida. Se si lanciassero in una selvaggia lotta per il potere i palestinesi farebbero gli interessi dei «falchi».

In Israele la destra direbbe che «non si tratta nel caos» trovando facili consensi nell’opinione pubblica: un sondaggio ha rivelato che il 47% degli intervistati si augura la morte di Arafat. Nei territori palestinesi vincerebbe invece il fucile. Gli anni dell’intifada hanno dimostrato che i protagonisti possono fare le scelte più stupide.

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