Da La Repubblica del 25/10/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/j/speciale/altri/elezioniusa/hart/hart.html

La parola alla famiglia degli Hart della contea di Montgomery. Reddito medio alto, sangue irlandese di tre generazioni

"Tagli e guerra? Mali necessari gli altri fanno solo chiacchiere"

di Vittorio Zucconi

WASHINGTON - Essere repubblicani oggi, nell'America arrivata alla scelta elettorale che scotta sotto le dita come non bruciava più da una generazione e da un'altra guerra. Sentirsi minoranza in casa, in quei sobborghi middle class di una Washington dove il 75% vota dall'altra parte e dove tra i fili d'erba dei prati rasati come crani di marines sbocciano i cartelli rabbiosi che invitano a votare per Kerry-Edwards e cacciare George l'usurpatore. Essere per George W. Bush a pochi giorni dal voto, abbracciati non a un'ideologia, ma alla certezza che "essere repubblicani" sia sinonimo di "essere americani" e significhi difendere quelle idee "che hanno fatto dell'America, l'America" come dice il figlio maggiore, Brian.

Benvenuti nella famiglia Hart, qui nel sobborgo washingtoniano chiamato Contea di Montgomery, una delle dieci contee americane con il più alto reddito medio. Vi presento Jack, il patriarca, un uomo "dalla parte sbagliata dei 60 anni", Peggy, la matriarca, Brian e Kevin i due figli maschi, Kim la nuora in attesa di un bambino, Connor e Devin John, i nipotini freschi freschi nati sotto il segno di Bush e, Machiavelli, scordavo Machiavelli, il "botolone" irrequieto con quel nome così incongruo, in una famiglia che di machiavellico non ha proprio nulla. Tre generazioni di "irish-american", di americani con sangue irlandese, che hanno percorso un doppio, lungo viaggio per arrivare fino a qui, partendo prima dall'Irlanda miserabile delle patate e poi dalla Boston cattolicissima e democraticissima che ha prodotto il primo Jfk e oggi propone un altro Jfk. "Nessuno era più democratico della mia famiglia a Boston", dice Jack il patriarca "democratici si nasceva e si era per la vita, come si era cattolici, con i santini di Roosevelt in soggiorno, come si avevano gli occhi azzurri o le efelidi". Ma non lui. "No, non io". Traditore, dunque? "Forse hanno tradito gli altri".

La storia di come una famiglia di irlandesi bostoniani compia il tragitto politico e umano dal "New deal" rooseveltiano per approdare a quel texano con l'iniziale che sembra il marchio a fuoco sul sedere di un manzo, "W", è la parabola di come sia cambiata l'America media negli ultimi 60 anni. Il capo famiglia, Jack, vende forniture per mense, molecola di quella galassia di padroncini alla quale "W" Bush si rivolge quando promette non più la "Grande Società" dello stato sociale, ma la "Ownership Society", la società dei proprietari. "Chi è un businessman come me chiede ai politici fatti, non chiacchiere e promesse, e questo Kerry che ho visto nei dibattiti mi pare uno tutto chiacchiere e niente fatti. Bush avrà tutti i difetti del mondo e io non sono un suo adoratore, ma fa le cose, taglia le tasse, riduce le bardature burocratiche, si fa rispettare, se dice che va in guerra ci va". Anche se va in una guerra sbagliata? "La guerra in Iraq non mi piace per niente, ma da americano devo accettare il fatto che se lui ha deciso avrà avuto le sue ragioni. Che ne so io per dire che ha sbagliato? Mi devo fidare del mio Presidente".

Gli effluvi dell'antipatia, se non ormai dell'odio, che dal mondo salgono sempre più alti proprio contro questa imperiosa America di Bush che vuole esportare se stessa non arrivano nel giardino degli Hart, anche se qui siamo a pochi minuti da quel Pentagono dove esplose "l'altro 11 settembre". "Quello che pensa e dice l'Europa mi lascia indifferente" interviene Brian, che dei due fratelli è il più deciso, "i Francesi ci hanno sempre invidiato e detestato e continueranno a farlo, dunque l'America e il suo Presidente devono fare quello che pensano sia giusto fare, senza chiedere permessi né scusa. Tanto, poi, se le cose andranno bene, tutti si riscopriranno grandi amici nostri, come hanno sempre fatto. Look, guarda, lo so anche io che l'Iraq è un gran casino, ma non potrei mai votare per gente come Kerry ed Edwards. Almeno Bush ha cercato di rispondere e di contrattaccare. Sai che farebbero Kerry ed Edwards, se fossimo attaccati di nuovo?". Che farebbero? "Organizzerebbero un dibattito con i terroristi".

"Siamo culture diverse" interviene Kevin, appena un poco più conciliante "voi cercate di venire a patti con il nemico, noi cerchiamo di sconfiggerlo e di annientarlo. Anche io, come mio padre e mio fratello sono molto scontento di questa guerra, la storia delle armi di distruzione di massa che non c'erano mi dà parecchio fastidio e tutto poteva essere fatto meglio, ma qualcosa andava fatto. Dopo l'11 settembre, è la nostra sicurezza, quella dei nostri bambini, delle nostre famiglie, la cosa che conta e ha ragione "W" quando dice che dobbiamo portare la guerra ai terroristi e non aspettare che loro la portino a noi". All'angolo della casa, da quel mattino del 2001 sventola giorno e notte la "Old Glory", la bandiera. Jack: "Ci sentivamo tutti in ginocchio, quel giorno, oggi ci siamo rimessi in piedi, anche grazie a Bush.

Forse che non dovrei votare per lui perché non piace ai francesi o al segretario dell'Onu?".

Si sono disciplinatamente sciroppati i tre dibattiti in televisione, gli Hart, per fare quello che nove elettori su dieci fanno quando guardano la politica in tv, per trovare conferma a quello che già pensavano e Kerry non ha detto nulla, né forse avrebbe potuto, per fargli cambiare idea. Dicono che gli spot non li toccano, ma gli slogan della propaganda repubblicana hanno attecchito perché rinforzavano le loro convinzioni.

"Un flip-flopper", una banderuola. Giusto, annuiscono. "Uno che, sicuro quanto il sole che sorgerà domani, ci aumenterà le tasse, perché questo fanno quelli come lui, i democratici che vengono da Boston". "Il solito Robin Hood che vuole rubare ai ricchi". Brian è onesto: "Non c'era nulla che potesse dire per farmi cambiare voto". Neppure la promessa di dare finalmente un minimo di assicurazione sanitaria a tutti? "Medicina socializzata, un'altra colossale burocrazia statale che costerebbe più di quello che produce", mi rispondono gli Hart, in coro. Ma Kevin. il fratello minore, è ancora più secco: "Lo so che ci sono milioni senza assicurazione, ma è un male necessario. La nostra società è costruita sul fatto che tutti dobbiamo cavarcela da soli, senza stampelle, e sollevarci da terra tirandoci per le stringhe delle scarpe se cadiamo. Così abbiamo fatto questo Paese e non ci è venuto poi tanto male".

Non sono ricchi, gli Hart, non se li misuriamo con il metro dei Bush e dei Kerry. Due auto nel garage, un tacchino pachidermico da friggere di tanto in tanto nella pentola speciale formato caserma, molti lavori presi e perduti, qualche bancarotta e tante acrobazie per mandare tutti i figli all'università, per concedersi il rito dello shopping settimanale, la seconda casa di vacanze, per offrire un matrimonio sontuoso alla figlia Lauren quando si sposò, per coprire adesso i nipotini di ogni tenero "bric-a-brac" che la fantasia dei giocattolai e le manine dei cinesi sappiano produrre. Le donne di famiglia che fingono di tenersi un poco in disparte, per lasciare credere agli uomini che comandino loro, quando i maschi si passano il pallone da football o discutono di politica. Peggy, che è iscritta come indipendente alle liste elettorali e "vota le persone non le chiacchiere" usa il suo intuito di professoressa di lungo corso per scegliere. Votò per Jfk, quello vero, poi per Carter, per Reagan, per Clinton, per Bush il Vecchio, ("ma mai per Nixon") e il due novembre voterà per Bush, lo dice un po' esitante, come se le scocciasse, da brava moglie, darla vinta a Jack il marito, "perché questo Kerry non mi convince proprio, sulla questione della nostra sicurezza", sorride spupazzando il nipotino più piccolo, Devin John dai grandi occhi americani sereni, grigio-azzurri. "E mi ha proprio seccato con tutti quei suoi piani, un piano di qui, un piano di là, un piano per tutto, e che piani?" fa la nuora Kim, che cova un altro americanino, certamente un altro repubblicano, in grembo.

L'America si respira nell'aria come l'odore dell'ultima erba d'autunno tagliata nel week end, aspettando la partita di football e le finale del baseball, come l'incenso di un santuario all'aperto, difficile per noi delle mille parrocchiette chiamate Italia, da capire. "Alla fine dei dibattiti - sbotta Brian, che si finge sempre il duro - Bush e Kerry si sono stretti la mano, dopo essersele date di brutto e mi ha scaldato il cuore. Andremo a votare per chi ci pare, ma resteremo sempre e tutti americani. Niente potrà cambiare questo". Kevin il fratello gli passa la palla ovale. Machiavelli dorme.

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