Da La Repubblica del 07/10/2004

Da settimane è scomparso dalla scena, anche i suoi fedelissimi l´hanno abbandonato

Ascesa e caduta di Sadr l´imam che sognava il martirio

Anche il comandante del "suo" esercito non obbedisce più ai suoi ordini
L´ayatollah Sistani, dopo la battaglia di Najaf, è riuscito a emarginarlo

di Renato Caprile

BAGDAD - Da qualche mese a questa parte, Moqtada al Sadr sembra essere quasi un´altra persona. Conciliante, addirittura moderato. L´esatto opposto del rissoso capopopolo che per due volte ha sfidato l´America. Ha paura, Moqtada, o si è semplicemente imborghesito? C´entra la sua voglia di far politica o c´è dell´altro? Certo non minaccia più, ha abbassato i toni, annacquato le prediche e manifestato a più riprese voglia di trattare. Con Allawi e i diplomatici di Bush. Con quelli che appena ieri l´altro bollava come nemici mortali: gli invasori e il loro lacché. Che poi il giovane imam sia sempre pronto a far retromarcia, conta fino a un certo punto. Comunque tratta. Costretto più che per volontà di trovare una soluzione. Che è esattamente ciò che gli rimprovera una parte dei suoi. Già, perché in molti gli si stanno rivoltando contro. La prova? L´accordo per il cessate il fuoco a Sadr City di ieri sembrava già nero su bianco. Era stata addirittura annunciato, ma poi improvvisamente non se n´è fatto più nulla. Perché quelli di Sadr City hanno subito fatto sapere di non avere alcuna intenzione di consegnare le armi. «Che se le vengano a prendere loro, tanto la morte abbiamo già dimostrato che non ci spaventa». Ecco perché il negoziato con gli americani che va avanti ormai da un settimana non sembra avere più senso. Lo ha capito per primo l´ex generale, Jawdat al Ubaidy incaricato di mediare tra i tre emissari dell´imam di Najaf e il governo. Insomma, Moqtada potrebbe non essere più l´interlocutore giusto. Voci da dentro lo danno in grande difficoltà. Qualcuno gli ha già girato le spalle. Come il direttore del settimanale «Hawsa», Abbas al Rubai. Come lo sceicco, Mohammed Abdul Mosein. Uno dei quattordici giudici che nei giorni dell´assedio di Najaf dopo processi sommari mandarono a morte decine di presunti traditori. Perdite importanti, di gente che non ha certo fatto conferenze stampa, che non ha denunciato niente e nessuno, d´altra parte sarebbe stato un suicidio, ma che si è semplicemente fatta da parte.

Di sciogliere poi l´esercito del Mahdi non se ne parla nemmeno. «Solo Dio può farlo», ribattono i duri e puri dell´armata. Abdul Mahdi al Muhandes ne è il comandante. Una cinquantina d´anni, alto, occhiali da miope, detto l´ingegnere è uno che ha passato più di vent´anni in Iran. E´ lì che Moqtada lo ha conosciuto, è lì che glielo hanno imposto come capo militare. E "l´ingegnere" non prende più ordini da Moqtada. Le sue truppe, oltre ventimila uomini, gli sono fedeli. Se dovessero fare lo scherzetto di cancellare l´esercito del Mahdi, ce n´è già pronto un altro, l´esercito di Hussein.

Praticamente la stessa cosa.

Ha il nome giusto, Moqtada, ma soltanto quello. E l´uomo che sembrava un mito, uno destinato ad entrare alla grande nell´epopea della causa sciita, ora viene descritto come un indeciso cronico. Un ragazzone manovrato dall´alto.

Nemmeno il padre, Mohammed Sadeq, credeva molto nelle sue qualità. Gli preferiva gli altri due figli, Mortada e Mohammel, che non a caso Saddam Hussein nel 99 fece uccidere insieme al loro padre. Giocava con la play-station, gli piacevano le moto e le gite al fiume. Moqtada da ragazzo almeno non sembrava avesse le stimmate del leader. Se ne stava in disparte, carattere chiuso e solitario. Poi la pesante eredità di quel nome che gli grava improvvisamente sulle spalle una volta caduto Saddam. Poteva essere lui l´asso su cui puntare visto lo scontato seguito del mega ghetto sciita di Bagdad. Sistani e gli altri grandi ayatollah non si sarebbero facilmente piegati. Bisognava trovare un outsider. E chi più di lui aveva i numeri giusti? La prima mossa fu quella di fargli arrivare un po´ di soldi, un quarto di milione di dollari, e qualche satellitare. Un regalo per tenerselo buono. Un anticipo sulla leadership assoluta che non poteva sfuggirgli una volta sgombrato il campo da alcune figure chiave. Come l´ayatollah, Abdul Majid al Khui, del cui assassinio Moqtada è sospettato. Come il potentissimo capo dello Sciri, Mohammed Baker al Hakim, ammazzato a Najaf in un devastante attentato, al quale ancora una volta potrebbe non essere estraneo il giovane sayed. Certo restava Sistani, che abile com´è, nonostante le minacce, è però riuscito a tirarlo dalla sua parte. E´ stato lui che lo ha convinto a consegnare le chiavi del Mausoleo di Ali, dove si erano asserragliate le sue truppe. Io sono vecchio, il futuro è tuo - gli avrebbe detto Sistani - ma dimostra ora, facendo un passo indietro, di avere i numeri per poter essere una credibile guida per gli sciiti. Evita che siano profanati i nostri luoghi sacri. La sacralità però c´entrava fino a un certo punto, nel Mausoleo c´era il vice capo degli 007 iraniani. E da Teheran facevano pressioni su Sistani perché risolvesse la situazione dandogli il tempo di fuggire. Moqtada abboccò, ignaro che si stava scavando la fossa politica. I suoi ambivano al martirio e qualunque soluzione che non fosse stata la vittoria o la morte avrebbe avuto il sapore del tradimento.

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