Da Corriere della Sera del 01/10/2004

I tank israeliani entrano nel campo profughi di Jabaliya. Duri scontri, caduti anche due soldati e una colona

Battaglia a Gaza, morti 32 palestinesi

L’operazione decisa da Sharon dopo che un razzo Qassam aveva ucciso due bambini a Sderot

di Mara Gergolet

GERUSALEMME - I tank a Jabaliya sono spuntati all’alba. Da quando, quattro anni fa, è iniziata l’Intifada, mai l’esercito israeliano si era addentrato tra i vicoli stretti, stipati di gente e di uomini armati, del più grande campo profughi palestinese a Gaza. Era l’annuncio della battaglia. La più dura tra israeliani e palestinesi negli ultimi due anni. A sera, quando già venivano seppelliti i primi corpi a Gaza, si parlava di 32 morti tra i palestinesi e 3 tra gli israeliani. Mai in quattro anni, dicono le statistiche dei palestinesi, in un solo giorno erano stati contati tanti cadaveri.

Era un’azione annunciata. La risposta, decisa dal governo Sharon, poche ore dopo che un razzo Qassam lanciato da miliziani di Hamas aveva sfondato un tetto uccidendo due bimbi israeliani di 2 e 4 anni, a Sderot, città israeliana nel deserto del Negev. Ma non si tratta di un raid estemporaneo. Piuttosto di un’ampia risposta militare, pianificata a tavolino, per rispondere a quella che è ormai una vera «emergenza». Il lancio dei Qassam, rozzi ordigni che da mesi cadono giornalmente sulle colonie a Gaza e villaggi nel sud d’Israele. Solo che ora, oltre a scatenare nevrosi, hanno cominciato a uccidere: mercoledì, Dorit e Yuval sono stati la loro terza e quarta vittima.

«Non sarà un’azione breve, ma ampia e in profondità», commenta l’analista militare Roni Daniel. A ordinarla è stato il ministro della Difesa Shaul Mofaz, su mandato di Sharon: «Sui Qassam - ha detto ieri sera il premier - non faremo compromessi, risponderemo a queste continue aggressioni». L’idea è di fare terra bruciata attorno ai lanciatori di razzi, colpendoli e neutralizzando le loro postazioni di lancio. A giugno a Beit Hanun sono stati tagliati 15 mila alberi d’olivo o di frutta, spianati centinaia di ettari di terreno coltivato per impedire che potessero nascondervisi terroristi. Sradicare la minaccia, è la parola d’ordine.

A Jabaliya - un quadrato di casupole e palazzoni costantemente rialzati che contengono 100 mila profughi - ieri raccontano di combattimenti per strada. Scontri a fuoco. Due soldati uccisi e una colona morta in un agguato, mentre faceva jogging. E anche civili morti nel centro di Jabaliya - sostengono fonti palestinesi, ma non confermano gli israeliani - da un obice sparato da un tank contro un mercato.

«Erano le tre del pomeriggio - racconta Basel Abu Shakfa, 25 anni, poliziotto palestinese - Io ero a venti metri dal principale mercato di Jabaliya. Sento due tiri e un’esplosione sorda della granata che si conficca nel terreno». Una nuvola di fumo, gente che grida. «Corro per aiutarli. Una scena tremenda, c’è carne umana in giro nel raggio di qualche metro. Un uomo con un buco nella testa, il sangue gli colava dal naso. Un uomo senza una gamba. Ho sentito persone pronunciare le ultime parole di shahada (la professione di fede che si recita anche prima della morte, ndr ). Ero terrorizzato, ipnotizzato. Non li potevo aiutare». Solo civili? «Davanti a quelle bancarelle, mischiati agli altri, c’erano degli uomini armati. Però sono morti anche altri». Sette le vittime. Ma è inevitabile immaginare che ne seguiranno altre, se continuerà questa guerriglia urbana, scatenata attorno all’ultimo «mito» dell’Intifada. Quei Qassam, che non sono solo imprecisi razzi prodotti in cantina. Bensì un’arma che gli islamici di Hamas e il governo Sharon sanno di dover usare o neutralizzare con cura. Per entrambi, hanno un valore che va al di là dell’efficacia militare. Coincide con la Storia da scrivere nei prossimi mesi: il ritiro da Gaza, e la sua interpretazione.

«Non è un caso - dice l’analista Aluf Benn - che gli attacchi di Hamas con i Qassam coincidano con il previsto smantellamento delle colonie. Hamas vuole appropriarsi di una vittoria che non gli spetta, di aver cacciato Israele con le bombe». Sull’altro fronte, Sharon deve rispondere all’accusa opposta, di aver ceduto e lasciato «mano libera ai terroristi». A Sderot, sull’orlo di una crisi di nervi per le bombe che piovono dal cielo, gli abitanti sono scesi in piazza a gridare: «Morte agli arabi». «Se ci ritiriamo ora - dice Annette Saaddeh, sui vent’anni - i terroristi ci arriveranno in casa».

Sharon sa che eliminare la minaccia dei Qassam e garantire la sicurezza è la precondizione dell’uscita da Gaza. Già di per sé politicamente difficile.

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