Da La Repubblica del 18/09/2004
Bush seduce lo Stato operaio sfida nel feudo dei democratici
L´ultima volta che ha vinto un repubblicano era il '72. Per i sondaggi è testa a testa
C´è anche l´"incomodo" Nader: "Kerry, amico delle grandi corporation"
di Alberto Flores D'Arcais
ST. PAUL (Minnesota) - Il ragazzo in jeans e T-shirt ha quattro spille che inneggiano a Bush-Cheney ma il poliziotto è inflessibile: «Quell´affare non passa». L´"affare" è un coltello multilama dell´esercito svizzero e quel che sorprende è la sorpresa di questo ragazzone, che nell´America del post-11 settembre pretende di andare ad applaudire il presidente con un´arma in tasca; lui non è dello stesso avviso e bofonchiando un «bloody cop» all´indirizzo del poliziotto si allontana e dice ridacchiando: «Stavolta in Minnesota vinciamo noi».
«Noi» sono i repubblicani accorsi a migliaia al National Sport Center di Blaine (poche miglia da Minneapolis) per far sentire tutto il loro calore all´amato George W., il presidente-guerriero che è riuscito a trasformare il territorio più a nord del Midwest in un altro "battleground state", uno Stato in bilico tra il presidente e John Kerry. Impresa non facile, vista la tradizione e il passato del Minnesota. Qui l´ultimo repubblicano a vincere è stato Richard Nixon; era il 1972, l´America era divisa più di oggi dalla guerra del Vietnam e la campagna pacifista di McGovern portò i democratici alla più bruciante sconfitta della loro storia. Qui nel 1984 Walter Mondale scavò la sua trincea difendendo il Minnesota, unico Stato che la "valanga Reagan" non riuscì a conquistare. Qui c´è il più alto afflusso al voto di tutti gli Stati Uniti (69,4 per cento contro il 51 per cento della media nazionale nel 2000), che secondo politologi un po´ troppo faciloni favorisce sempre il partito dell´asinello.
Mercoledì mattina a Blaine erano in cinquemila a pensarla come il ragazzo con il coltello, allegri ed entusiasti. Un entusiasmo che ha contagiato il presidente, ancora più disinvolto del solito nell´insolita veste di moderatore che rivolge domande a tre selezionati ospiti, rappresentanti della "gente comune". Al National Sport Center, nella palestra dietro il campo di calcio - così perfetto che farebbe l´invidia di molte società di serie A - il popolo repubblicano non si distingue da quello democratico, i vestiti sono gli stessi, il modo di fare è identico. Vengono tutti dalla stessa classe, sono blue collar, con un passato da militanti e colonna del partito democratico; e oggi, a dar retta all´ultimo sondaggio di Usa Today, sono divisi perfettamente a metà tra "asinello" e "Great Old Party".
Solo la musica è diversa, se nei comizi di Kerry imperano Bruce Springsteen e il rock qui si sente solo country. «Chi canta? Non lo so, io sono un fan dei Rolling Stones». Martin Hegland è in quarta fila ed ha accanto la fidanzata Lynn, una afroamericana di famiglia «da sempre democratica, ma io sono per George W. al cento per cento». Martin è un artigiano, lavora ceramiche, ha sui 35 anni e l´orgoglio di un «repubblicano del Minnesota che sente aria di rivincita». Quando il presidente fa il suo ingresso, tra i boati della folla, si allunga quasi a toccarlo, lo fotografa e poi spiega perché anche qui «vinceremo noi». «Te lo dico con una frase: perché il Minnesota è uno Stato conservatore che vota democratico». Perché anche se ha indici culturali tra i più alti degli Stati Uniti, ci sono centinaia di giornali e radio, con biblioteche e librerie sempre piene, con una tradizione sindacale e orchestre famose nel mondo, alcuni temi "sociali" non sfondano. È il caso dei matrimoni gay: qui i contrari sono oltre il 70 per cento, e di altre iniziative che «piacciono tanto ai politici di Washington e poco a noi. Ricordi Jesse Ventura? (il lottatore-culturista diventato governatore, ndr) Perché credi che abbia vinto? perché non ne potevamo più della politica e dei politicanti, democratici o repubblicani poco importa».
George W. è venuto fin qui già sei volte spinto dal vento di sondaggi ogni volta più ottimisti, e se dovesse vincere anche in Minnesota il suo sarebbe un vero trionfo. A dir la verità la mattina del comizio il giornale locale (Star Tribune) dava Kerry in vantaggio di 9 punti, ma ai sondaggi pubblicati dai giornali credono tutti molto poco e quelli in mano al "Gop" dicono che il trend per Bush è favorevole anche qui. È venuto mettendo da parte per un giorno i vestiti del presidente-guerriero, in maniche di camicia su una piccola pedana a parlare dei problemi reali della gente, la sanità, la scuola, la vita familiare. Ad Al Qaeda e alle sue minacce ha concesso solo pochi minuti, una battuta per rispondere anche alle accuse di Kofi Annan («se non sbaglio ci sono state 17 risoluzioni dell´Onu»); la parte che piace di più a Martin è quella sui "piccoli businessmen", quella che raccoglie l´ovazione più grande è l´ennesima promessa di tagli alle tasse; il resto dello show è tutto dedicato alla politica interna (quello che dovrebbe essere il cavallo di battaglia di Kerry) e anche quando si avventura in complicati ragionamenti sui costi delle assicurazioni strappa applausi e risate a scena aperta: «Sono venuto qui sapete perché? Per chiedervi il voto».
Al quartier generale del Democratic Farmer Labor (il nome locale del partito democratico, che la dice lunga sulle sue radici agricole) a Minneapolis c´è aria di grande mobilitazione. «Dia retta a me, non creda ai repubblicani, il Minnesota voterà Kerry» dice Stacie Paxton, una ragazza bionda californiana nonché Minnesota Communications Director della campagna Kerry-Edwards. Spiega come a centinaia si sono mobilitati contro l´arrivo di Bush, come i sondaggi favorevoli ai repubblicani siano «tutte balle», come siano impegnati a «Recall Randy» (con una legge per far dimettere Randy Kelly, il sindaco democratico che ora appoggia Bush) ma ammette che la «sfida è incerta, nostro compito è quello di portare al voto più gente possibile, soprattutto i giovani».
«Abbiamo un doppio fronte qui - spiega ancora -, c´è anche lui in città, e noi dobbiamo manifestare anche contro di lui esattamente come contro Bush». "Lui" non è Kelly ma Ralph Nader, lo spauracchio dei democratici. L´uomo che secondo la vulgata corrente ha fatto vincere le elezioni del 2000 a Bush, il candidato verde che il Green Party ha ripudiato, che i repubblicani aiutano a trovare firme per presentarsi nei diversi Stati e che lo stesso giorno del presidente, a una decina di miglia di distanza, presenta il suo programma in Minnesota, dove nel 2000 raccolse il 5,2 per cento di voti.
L´incontro con Nader avviene in uno dei più prestigiosi «Liberal College» d´America (liberal per gli studi e ogni tanto anche politicamente), il Macalaster. Se qualcuno aveva dei dubbi sul fatto che Nader possa aiutare Bush è lo stesso candidato «dei poveri e dei non rappresentati» a farlo ricredere, concentrando tutti gli attacchi su Kerry uomo delle «grandi corporation», sui democratici che usano «sporchi trucchi» per cercare di farlo fuori dalle elezioni. E non basta il finale con un sorriso da caratterista di Hollywood stampato sulla faccia («nessuno più di me vuole che Bush perda») a fargli guadagnare molte simpatie. I poll danno Nader in Minnesota all´1 per cento, ma lui non si scompone e nella cappella del college dove si sono radunati, alcune centinaia di fan inneggiano a un programma da sinistra pura: ritiro dall´Iraq entro sei mesi, assicurazione sanitaria per tutti, salario minimo garantito. Fuori una decina di giovani studenti democratici innalzano i cartelli: «Anche in Minnesota chi vota Nader vota Bush».
«Noi» sono i repubblicani accorsi a migliaia al National Sport Center di Blaine (poche miglia da Minneapolis) per far sentire tutto il loro calore all´amato George W., il presidente-guerriero che è riuscito a trasformare il territorio più a nord del Midwest in un altro "battleground state", uno Stato in bilico tra il presidente e John Kerry. Impresa non facile, vista la tradizione e il passato del Minnesota. Qui l´ultimo repubblicano a vincere è stato Richard Nixon; era il 1972, l´America era divisa più di oggi dalla guerra del Vietnam e la campagna pacifista di McGovern portò i democratici alla più bruciante sconfitta della loro storia. Qui nel 1984 Walter Mondale scavò la sua trincea difendendo il Minnesota, unico Stato che la "valanga Reagan" non riuscì a conquistare. Qui c´è il più alto afflusso al voto di tutti gli Stati Uniti (69,4 per cento contro il 51 per cento della media nazionale nel 2000), che secondo politologi un po´ troppo faciloni favorisce sempre il partito dell´asinello.
Mercoledì mattina a Blaine erano in cinquemila a pensarla come il ragazzo con il coltello, allegri ed entusiasti. Un entusiasmo che ha contagiato il presidente, ancora più disinvolto del solito nell´insolita veste di moderatore che rivolge domande a tre selezionati ospiti, rappresentanti della "gente comune". Al National Sport Center, nella palestra dietro il campo di calcio - così perfetto che farebbe l´invidia di molte società di serie A - il popolo repubblicano non si distingue da quello democratico, i vestiti sono gli stessi, il modo di fare è identico. Vengono tutti dalla stessa classe, sono blue collar, con un passato da militanti e colonna del partito democratico; e oggi, a dar retta all´ultimo sondaggio di Usa Today, sono divisi perfettamente a metà tra "asinello" e "Great Old Party".
Solo la musica è diversa, se nei comizi di Kerry imperano Bruce Springsteen e il rock qui si sente solo country. «Chi canta? Non lo so, io sono un fan dei Rolling Stones». Martin Hegland è in quarta fila ed ha accanto la fidanzata Lynn, una afroamericana di famiglia «da sempre democratica, ma io sono per George W. al cento per cento». Martin è un artigiano, lavora ceramiche, ha sui 35 anni e l´orgoglio di un «repubblicano del Minnesota che sente aria di rivincita». Quando il presidente fa il suo ingresso, tra i boati della folla, si allunga quasi a toccarlo, lo fotografa e poi spiega perché anche qui «vinceremo noi». «Te lo dico con una frase: perché il Minnesota è uno Stato conservatore che vota democratico». Perché anche se ha indici culturali tra i più alti degli Stati Uniti, ci sono centinaia di giornali e radio, con biblioteche e librerie sempre piene, con una tradizione sindacale e orchestre famose nel mondo, alcuni temi "sociali" non sfondano. È il caso dei matrimoni gay: qui i contrari sono oltre il 70 per cento, e di altre iniziative che «piacciono tanto ai politici di Washington e poco a noi. Ricordi Jesse Ventura? (il lottatore-culturista diventato governatore, ndr) Perché credi che abbia vinto? perché non ne potevamo più della politica e dei politicanti, democratici o repubblicani poco importa».
George W. è venuto fin qui già sei volte spinto dal vento di sondaggi ogni volta più ottimisti, e se dovesse vincere anche in Minnesota il suo sarebbe un vero trionfo. A dir la verità la mattina del comizio il giornale locale (Star Tribune) dava Kerry in vantaggio di 9 punti, ma ai sondaggi pubblicati dai giornali credono tutti molto poco e quelli in mano al "Gop" dicono che il trend per Bush è favorevole anche qui. È venuto mettendo da parte per un giorno i vestiti del presidente-guerriero, in maniche di camicia su una piccola pedana a parlare dei problemi reali della gente, la sanità, la scuola, la vita familiare. Ad Al Qaeda e alle sue minacce ha concesso solo pochi minuti, una battuta per rispondere anche alle accuse di Kofi Annan («se non sbaglio ci sono state 17 risoluzioni dell´Onu»); la parte che piace di più a Martin è quella sui "piccoli businessmen", quella che raccoglie l´ovazione più grande è l´ennesima promessa di tagli alle tasse; il resto dello show è tutto dedicato alla politica interna (quello che dovrebbe essere il cavallo di battaglia di Kerry) e anche quando si avventura in complicati ragionamenti sui costi delle assicurazioni strappa applausi e risate a scena aperta: «Sono venuto qui sapete perché? Per chiedervi il voto».
Al quartier generale del Democratic Farmer Labor (il nome locale del partito democratico, che la dice lunga sulle sue radici agricole) a Minneapolis c´è aria di grande mobilitazione. «Dia retta a me, non creda ai repubblicani, il Minnesota voterà Kerry» dice Stacie Paxton, una ragazza bionda californiana nonché Minnesota Communications Director della campagna Kerry-Edwards. Spiega come a centinaia si sono mobilitati contro l´arrivo di Bush, come i sondaggi favorevoli ai repubblicani siano «tutte balle», come siano impegnati a «Recall Randy» (con una legge per far dimettere Randy Kelly, il sindaco democratico che ora appoggia Bush) ma ammette che la «sfida è incerta, nostro compito è quello di portare al voto più gente possibile, soprattutto i giovani».
«Abbiamo un doppio fronte qui - spiega ancora -, c´è anche lui in città, e noi dobbiamo manifestare anche contro di lui esattamente come contro Bush». "Lui" non è Kelly ma Ralph Nader, lo spauracchio dei democratici. L´uomo che secondo la vulgata corrente ha fatto vincere le elezioni del 2000 a Bush, il candidato verde che il Green Party ha ripudiato, che i repubblicani aiutano a trovare firme per presentarsi nei diversi Stati e che lo stesso giorno del presidente, a una decina di miglia di distanza, presenta il suo programma in Minnesota, dove nel 2000 raccolse il 5,2 per cento di voti.
L´incontro con Nader avviene in uno dei più prestigiosi «Liberal College» d´America (liberal per gli studi e ogni tanto anche politicamente), il Macalaster. Se qualcuno aveva dei dubbi sul fatto che Nader possa aiutare Bush è lo stesso candidato «dei poveri e dei non rappresentati» a farlo ricredere, concentrando tutti gli attacchi su Kerry uomo delle «grandi corporation», sui democratici che usano «sporchi trucchi» per cercare di farlo fuori dalle elezioni. E non basta il finale con un sorriso da caratterista di Hollywood stampato sulla faccia («nessuno più di me vuole che Bush perda») a fargli guadagnare molte simpatie. I poll danno Nader in Minnesota all´1 per cento, ma lui non si scompone e nella cappella del college dove si sono radunati, alcune centinaia di fan inneggiano a un programma da sinistra pura: ritiro dall´Iraq entro sei mesi, assicurazione sanitaria per tutti, salario minimo garantito. Fuori una decina di giovani studenti democratici innalzano i cartelli: «Anche in Minnesota chi vota Nader vota Bush».
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