Da La Stampa del 17/09/2004

La fine dei complotti

di Lucia Annunziata

Il rapimento di due americani e un inglese in Iraq ieri chiarisce importanti aspetti della vicenda degli ostaggi italiani e francesi; e al contempo ne complica drammaticamente la soluzione.

La tecnica fotocopia del sequestro, uguale a quello delle due volontarie, rende chiaro, intanto, che siamo davanti a una regia unica capace di mettere in atto una operazione ripetibile nel tempo: possiamo dunque a questo punto mandare al macero le ipotesi (in parte confortanti) di atti di delinquenza o di marginalità politica. La nazionalità dei rapiti inoltre sgombra il campo da quella insidiosa teoria cospirativa che voleva responsabile dei sequestri lo stesso governo iracheno o la Cia; così come rende meno rilevante la pista delle azioni mirate contro l’Europa. Infine, il lavoro degli ostaggi di oggi - guardie di sicurezza - smentisce che i rapimenti in corso siano mirati a colpire il mondo degli «innocenti», cioè i giornalisti o il volontariato.

Insomma, chiunque sia il regista di questi nuovi rapimenti, da ieri ha costruito una piccola Onu degli ostaggi che riporta la palla al centro del messaggio: gli occidentali sono tutti uguali davanti al Terrore.

Conseguenze rilevanti derivano da queste chiarezze. La prima ha a che fare con gli umori italiani. Quando, pochi giorni fa, l’Ulema Kubaisi ha sostenuto che i rapitori delle italiane potessero essere i servizi del governo iracheno o la stessa Cia, le sue parole hanno trovato nel nostro Paese una eco degna di miglior causa. Riportata come se fosse credibile, non è stata davvero vigorosamente rigettata da nessuna forza politica. Al contrario, ha avviato un inquietante percorso di dubbi. L’Ulema d’altra parte ha colpito proprio il nervo scoperto di una politica che fa fatica ad adeguare la propria lettura del mondo: come sarebbe più comodo, più in linea con alcune delle nostre consolidate paure nazionali scoprire che davvero poi alla fine erano i soliti servizi deviati, la solita Cia, il solito Moloch Americano. E qui non si tratta solo della sinistra.

Nella prima riunione del Parlamento Europeo la sinistra italiana ha trovato due giorni fa la sua unità in una mozione di condanna al terrorismo accompagnata dalla richiesta agli Americani di fermare i bombardamenti ai civili per favorire la restituzione degli ostaggi. Il concetto è tuttavia lo stesso che si ritrova (sia pure con una distanza lessicale maggiore fra richiesta agli Americani e la liberazione degli ostaggi) nel discorso fatto dal ministro Frattini nel corso del suo tour diplomatico nei Paesi arabi. Le due posizioni semplificano tutto il parlare fatto sulle ambiguità in queste settimane: legare i bombardamenti agli ostaggi non è forse una mascherata chiamata di corresponsabilità degli Stati Uniti? Del resto anche a Parigi circola insistente una voce che attribuisce il mancato ritorno dei giornalisti alle azioni militari lanciate dagli americani proprio per impedirne la liberazione: un boicottaggio preventivo di un eventuale successo umanitario della dissidente Francia.

Ora, il rapimento di due americani toglie (si spera) questi alibi. Dispiace che per tenere la rotta del dibattito politico e dell’azione diplomatica servano altri prigionieri made in Usa. Ma tant’è.

La seconda conseguenza del rapimento odierno è che esso complica la dinamica intorno agli ostaggi europei. Finora infatti francesi e italiani hanno agito più o meno nello stesso spirito: appellarsi alle buone relazioni con gli arabi moderati, con clamorosi e pubblici gesti di dialogo.

Facile anticipare che per gli ostaggi americani e inglese si seguirà una strada diversa. Intanto, per il loro lavoro nella sicurezza, essi non sono ostaggi «buoni» come le volontarie italiane e i giornalisti francesi. Inoltre, i loro Paesi seguono regole diverse dall’Italia e dalla Francia: gli Usa infatti considerano i rapiti prigionieri di guerra (non ostaggi, appunto) e dunque non trattano perché non riconoscono neppure concettualmente il sequestro come azione diversa da una operazione militare. E’ stata la loro politica finora ed è improbabile che faranno eccezioni.

Come convivranno allora questi due gruppi di ostaggi e queste diverse relazioni internazionali? Intanto, sarà interessante vedere se Francia e Italia si accolleranno anche questi rapiti «cattivi» o se li lasceranno a sé stessi. Così come sarà decisivo capire come convivranno le due linee diplomatico-militari: la «durezza» americana non finirà col compromettere la linea soffice degli Europei?

Le cose, insomma, si complicano terribilmente. E non è impossibile pensare che questo è proprio quello che vogliono i rapitori: dare una lezione sul caos delle relazioni internazionali in Occidente, sulla carne viva di un po’ di uomini e due donne.

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