Da Corriere della Sera del 17/09/2004
L’anchorman Dan Rather è stato costretto ad ammettere che il dossier sul presidente «imboscato» durante il servizio militare potrebbe non essere autentico
Bufera sulla Cbs, false le accuse contro Bush
di Ennio Caretto
WASHINGTON - E' il caso mediatico e politico dell'anno, e sta relegando in secondo piano (temporaneamente) persino la guerra dell'Iraq. I suoi protagonisti sono il più famoso e combattivo anchorman delle tv americane, Dan Rather della Cbs , e il presidente George Bush, o meglio il suo fantasma. Il caso esplose la settimana scorsa, quando Rather mostrò sugli schermi dei documenti bomba: provano, disse, che Bush non prestò servizio per intero nella Guardia nazionale in America durante la guerra del Vietnam e che i suoi exploit furono «zuccherati» (abbelliti) dai superiori. Il dossier portava una firma importante, quella del tenente colonnello Jerry Killian, l'ex comandante di George W., morto nell'84. I nemici del presidente esultarono: ecco la dimostrazione che Bush, figlio del privilegio, si era «imboscato» nella Guardia per non combattere in Vietnam! Un altro scoop del settuagenario, irriducibile Rather, un texano come George W., dopo quello spinoso delle torture dei detenuti iracheni ad Abu Ghraib a Bagdad? Un brutto colpo elettorale per Bush, alle prese con un vero eroe del Vietnam, John Kerry? Affatto. Nel giro di due giorni, il popolo neoconservatore si mobilitò: la Casa Bianca definì «falsi» i documenti e accusò Kerry di averli fabbricati; un nugolo di esperti sostenne che erano il prodotto di uno o più computer, un mezzo inesistente in quel periodo; e la vedova e il figlio di Killian li disconobbero all’unisono. Dapprima Rather ribattè che il dossier era autentico, poi il colpo di scena: potrebbe non esserlo, ha ammesso ieri, stiamo investigando, non appena scopriremo la verità, oggi domani, dopodomani, la renderemo pubblica.
Una clamorosa sconfitta dell' anchorman , il crollo del mito della scrupolosità e obbiettività dei media americani? Neanche quello. E' saltata fuori infatti l'ex segretaria di Killian, la ottantaseienne ma giovanile Marian Carr Knox. I documenti sono falsi, ha confermato Marian, ma ricordo bene di averne dattilografati altri simili: sì, Bush non fece il suo dovere, venne protetto dai superiori, e per tutelarsi Killian, che non era d'accordo, mise tutto per iscritto. A Rather, che l’ha intervistata, è sembrata la salvezza: «I repubblicani mi attaccano per depistare gli elettori, ma la questione di fondo è se il presidente si sottrasse ai suoi impegni, e se mentì quando lo negò». Con la Casa Bianca che continua ad attaccarlo, però, c'è chi scommette che Rather perderà lo scontro: anche se avesse agito in buona fede e colto il segno, i documenti paiono un trucco.
La caccia alla fonte del dossier ha infittito il giallo. I neoconservatori sospettano che l'anchorman lo abbia avuto da Bill Burkett, un altro tenente colonnello della Guardia Nazionale. L'anno scorso, Burkett dichiarò che nel '97, quando George W. era governatore del Texas, un generale fece sparire il dossier su richiesta dei repubblicani: «Assistetti alla sua telefonata». I sostenitori di Bush, naturalmente, smentirono, e adesso segnalano di avere trovato documenti «prima andati perduti» che scagionerebbero il presidente. Burkett tace, spiegando di avere ricevuto lettere e telefonate minatorie e di temere per l'incolumità della famiglia: «Hanno persino bruciato l'auto a mio figlio». Per molti americani è uno scandalo che la campagna elettorale scenda così in basso, come scese ad agosto, quando si polemizzò se le medaglie di Kerry in Vietnam fossero meritate o no. Ma sui giornali e alla tv, la vicenda è in prima pagina.
Paradossalmente, per i media chi fa più notizia non è Bush, è Rather. L' anchorman , che è anche direttore di tutti i notiziari della Cbs , è la loro star più controversa. Le sue battaglie col potere sono leggendarie: nello scandalo Watergate, aggredì ripetutamente il presidente Nixon; nello scandalo Irangate combatté contro Bush padre, allora vice presidente: si avventurò clandestinamente nell'Afghanistan in guerra attirandosi il soprannome di Gunga Dan dal noto, vecchio film «Gunga Din»; e intervistò Saddam Hussein prima della guerra dell'Iraq, suscitando le ire dei repubblicani. Ha dichiarato al Washington Post , secondo cui potrebbe perdere presto il posto: «Io guardo la gente negli occhi e dico la verità. Non indietreggio e non mi piego. E per forti che esse siano, non mi arrendo alle pressioni degli ideologi di parte».
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