Da La Repubblica del 17/09/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/i/sezioni/esteri/itarapuno/stessastra/st...

IL RETROSCENA

I nuovi sequestri mirati "arma letale" dei ribelli

di Giuseppe D'Avanzo

LE PROSSIME settimane (e, purtroppo, le prossime azioni) diranno se è possibile parlare dell'inizio di una nuova stagione - meno improvvisata e caotica, più politica - dei sequestri in Iraq. Con il sequestro di due americani e un inglese, se ne avvertono l'avvisaglia e qualche indizio. Innanzitutto, per le modalità dell'azione. Gli obiettivi sono scelti con cura. E, con cura, sembra scelta la nazionalità degli ostaggi. L'assalto è a costo zero nonostante si colpisca nel cuore di Bagdad, nei quartieri e nelle strade più protette o meno insicure. L'operazione del prelevamento è condotta da uomini molto organizzati, con un'apparente preparazione militare.

Gerarchici appaiono i rapporti nel commando. Ci si rivolge a chi guida il gruppo con il "signorsì".

Finora i sequestri sono stati soprattutto il frutto di un caso. Quattrocchi, Stefio, Cupertino e Agliana furono bloccati a un posto di blocco lungo la strada verso Falluja. Avrebbero potuto non essere lì, in quel momento. L'auto di Enzo Baldoni saltò su una mina. L'auto era in un convoglio della Croce Rossa a nord di Najaf verso Bagdad. Se l'auto avesse chiuso il piccolo corteo, non sarebbe stato Enzo Baldoni l'ostaggio e la vittima. Se si guarda ai sequestri dei cittadini italiani catturati prima del 7 settembre (è il giorno del rapimento di Simona Pari e Simona Torretta) si può concludere che quelle azioni erano casuali. Per un infelice destino, le vittime si sono ritrovate nelle mani dei banditi perché capitate al posto sbagliato nel momento sbagliato. È accaduto con molta probabilità che i predoni, valutata la "qualità" dell'ostaggio, lo hanno poi "rivenduto" a un gruppo politico. Ha queste caratteristiche anche il sequestro di George Malbrunot e Christian Chesnot, i giornalisti di Le Figaro e Radio France sequestrati, il 19 agosto, nello stesso tratto di strada diventato trappola per Enzo Baldoni.

È con il sequestro di Simona Pari e Simona Torretta che cambiano metodi, procedure, uomini. Le due Simone non si nascondevano, non correvano da un capo all'altro di Bagdad per evitare agguati. Tutti sapevano dove erano, che cosa facevano, quando e con chi lo facevano. Sono andati a prelevarle, con due collaboratori iracheni, alla fine di una giornata di lavoro. Pochi ordini secchi, e tutto è finito. Come, ieri, è accaduto all'alba a Jack Hensley ed Eugene Armstrong e a un cittadino inglese, di cui non è stato reso noto il nome. I tre lavoravano per una società di costruzioni di fiducia del Pentagono, con sede negli Emirati Arabi Uniti, la Gulf Services Company. Prima delle sei del mattino, dormivano ancora nell'appartamento che abitavano da otto mesi in uno dei quartieri più "borghesi" e meno insicuri di Bagdad. Al Mansur è un quartiere dove hanno sede parecchie compagnie straniere che si occupano di servizi di sicurezza e altre aziende di dimensioni medie o piccole. Per lo più sono protette, senza molto rigore, da guardie armate.

"È vero - dice una fonte di alto rango dell'intelligence americana - anche noi pensiamo che le caratteristiche del sequestro delle volontarie italiane siano molti simili all'azione contro i nostri cittadini. Dirò di più, pensiamo addirittura che il gruppo possa essere lo stesso o coordinato con il commando che ha "preso" le cittadine italiane per ottenere lo stesso obiettivo politico".

Quale?
"Sa, noi americani - celia l'alto funzionario - siamo dei sempliciotti. Non stiamo lì a sbrogliare l'inestricabile matassa delle ipotesi e delle congetture. Qual è poi il mistero? Guardi i fatti. Escludiamo dal quadro i due giornalisti francesi che vengono imprigionati in un altro territorio, con altre modalità e per caso. I fatti sono che, nelle mani di sequestratori che sembrano ex-militari e che, in ogni caso, agiscono come militari, si contano oggi: due italiani, due americani, un inglese. Come dire, cittadini dei Paesi principali della coalizione. Ci aspettavamo quel che sta accadendo. Ogni occidentale, in Iraq, è oggi fair game, preda consentita, selvaggina, ma gli occidentali della coalizione sembrano nel mirino di cacciatori molto esperti che vogliono il massimo del risultato con il minimo sforzo".

Sistemare una bomba è pericoloso, assaltare un convoglio armato è molto pericoloso. Prelevare occidentali indifesi dal proprio letto o dal proprio ufficio è un gioco per ragazzi, ma è un'azione che restituisce a basso costo il massimo del profitto politico. È un "profitto" che si raccoglie in Iraq dove l'insicurezza costringe le aziende della ricostruzione ad abbandonare il campo, come si prepara a fare anche il contingente neozelandese in partenza da Bassora. Ma è un "profitto" che si ottiene soprattutto in Occidente dove per le opinioni pubbliche le bombe e i morti di Bagdad sono diventati routine, ma il destino di un uomo prigioniero o, nel caso italiano, la minaccia e il ricatto contro due giovani donne riaccende il dibattito pubblico; rimette la questione irachena al centro dell'attenzione; ripropone gli interrogativi sollevati da una guerra che il segretario generale dell'Onu ha ieri definito "illegale".

"Potremo valutare il grado di politicità di queste azioni e quindi la loro pericolosità soltanto quando avremo chiaro chi c'è dietro i nuovi sequestri. Ma una sigla o un videotape non cambierà la sostanza della questione: vogliono spezzare la coalizione a partire dagli anelli più deboli, isolare gli Stati Uniti, rendere impossibili le elezioni democratiche nel gennaio del 2005, pregiudicare la ricostruzione del Paese. Comunque, vedremo che cosa diranno, che cosa faranno i rapitori anche se, purtroppo, bisognerà prepararsi a una lunga serie di sequestri", conclude il funzionario dell'intelligence americana.

Ha le stesse convinzioni, con meno dubbi e cautela, una fonte araba. "La mano, per le due volontarie italiane e per gli americani, sembra la stessa. Chiunque può valutare come l'azione di Al Mansur possa essere sovrapposta senza molte contraddizioni con l'assalto alla sede di "Un ponte per..." A Bagdad molti sono convinti che possa essere lo stesso gruppo. Ma per capire quale sia questo gruppo, bisognerà attendere ancora perché le voci che si possono raccogliere in città dicono che le ragazze sono vive e che il sequestro sarà lungo e snervante".

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