Da Corriere della Sera del 16/09/2004

Bagdad, nuovo corteo per dire no ai rapimenti

In piazza capi tribù e anche gente in carrozzella Trovati tre corpi decapitati, forse sono iracheni

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Un centinaio di persone è sceso ieri in piazza nel cuore di Bagdad per chiedere la liberazione «di tutti gli ostaggi in Iraq».

Tanti ragazzi in carrozzella, invalidi di guerra, ex torturati nelle carceri di Saddam Hussein, ma anche tante vittime dei bombardamenti americani. «Vogliamo la pace in Iraq. Via le mani dagli innocenti», si legge sullo sfondo bianco di un grande striscione in inglese e arabo. Eppoi: «Amore e pace», «basta con i rapimenti». A firma: «Comitato della società civile», un'organizzazione ombrello che riunisce le associazioni non governative presenti nel Paese.

Non si leggono slogan specificamente dedicati alle due Simone. Ma alcuni manifestanti ne parlano. «Vogliamo mostrare al mondo e a tutti gli italiani la nostra determinazione in favore della pace, contro il terrorismo e in difesa di Simona Pari e Simona Torretta», dice Basil Abdul Wahab Al Azzawi, presidente del Comitato.

Tra loro capi tribù sciiti, sunniti ed esponenti della comunità cristiana. Seguiti da una scorta di auto della polizia, che apre la via nel traffico e soprattutto li protegge dalla possibilità di attentati, i manifestanti percorrono a metà mattinata il boulevard Al Saduun, sino a Piazza al Furdus, proprio di fronte all'hotel Palestine, dove il 9 aprile 2003 veniva abbattuta la statua di Saddam Hussein.

Ma la gente è poca, pochissima. Molti non sono stati avvisati. Le tv e i media locali non ne parlano. Per esempio nessuno dei dipendenti del Ponte per e Intersos sapeva della manifestazione. Le scuole sono ancora chiuse, dunque i bambini dei progetti organizzati dalle due Simone non sono al corrente. E soprattutto oggi - come del resto due giorni dopo il rapimento, quando una cinquantina di persone scese in piazza - solo un pugno di iracheni è disposto a mobilitarsi pubblicamente.

Esempio evidente di questo atteggiamento è la piccola conferenza stampa tenuta a fine mattinata nella sede del «Movimento nazionale per la liberazione dell'Iraq», nel quartiere Mansur. Ufficialmente i giornalisti sono invitati per avere qualche notizia sui rapiti, soprattutto sulla sorte dei due giornalisti francesi spariti sulla strada verso Najaf il 20 agosto. In effetti gli organizzatori vogliono denunciare l'arresto da parte della polizia del loro leader, Abdel Jabbar al Qubaissi. Un nome noto anche in Italia al tempo del rapimento delle quattro body guard italiane lo scorso aprile. In sua difesa parla Safah Abdul Razak al Ajili (meglio noto come Abu Karrar), lo stesso ex ufficiale dell'esercito di Saddam che il commissario straordinario della Croce Rossa italiana, Maurizio Scelli, indica come uno dei suoi mediatori nel caso dei rapimenti. «Chi l'ha detto che la vita delle due donne italiane deve essere più importante di quella degli iracheni?», esclama polemico quando gli chiedono delle due Simone. E sulla sorte dei due francesi lascia poche speranze: «Due settimane fa eravamo arrivati a una soluzione per liberarli. Ma gli attacchi della polizia irachena nella zona di Falluja e Mahmudiah ha spezzato il fragile filo che conduceva a loro».

Notizie cattive, che si aggiungono a quella del ritrovamento di tre cadaveri decapitati alla periferia di Bagdad. Sono tutti uomini, uno ha un tatuaggio a forma di «h» sulla schiena. A detta di un portavoce americano, potrebbero essere iracheni. E sarebbe un fatto senza precedenti nel drammatico racconto dei sequestri nell'Iraq del dopoguerra.

Sarebbe infatti la prima volta che cittadini iracheni vengono decapitati dai loro rapitori. Nel frattempo è stato liberato un camionista turco che era stato rapito quasi due mesi fa. La sua compagnia ha promesso che non lavorerà più in Iraq.

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