Da Corriere della Sera del 15/09/2004

Feroci e divisi

di Giovanni Bianconi

Alla vigilia della sparatoria sul treno Roma-Firenze che segnò la fine dell’organizzazione, le Nuove Brigate rosse erano già in crisi. Non perché gli investigatori fossero sulle loro tracce, ma perché i due elementi della «sede centrale» - Nadia Lioce e Mario Galesi, la prima arrestata e il secondo rimasto ucciso nel conflitto a fuoco a bordo di quel vagone, il 2 marzo 2003 - erano entrati in contrasto tra loro. «Si era creato un problema politico grave - ha raccontato ai magistrati romani la «pentita» Cinzia Banelli - che non si ricomponeva, nel senso che non riuscivano a trovarsi su una posizione politica uguale. Ognuno rimaneva sulla sua posizione, e questa cosa ha mandato in crisi l’elaborazione politica, il lavoro dell’organizzazione. Erano loro che facevano le sintesi, se non lavoravano stava tutto fermo». Su che cosa vertesse il contrasto tra i due capi brigatisti, e dunque la «crisi della sede centrale», Cinzia Banelli non l’ha detto. Né qualcuno gliel’ha chiesto, nell’interrogatorio dell’8 settembre. Ma quali ne fossero le ragioni, quel conflitto dà comunque l’immagine di un gruppo che, pur avendo fatto riapparire in Italia lo spettro del terrorismo con gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi, e poi con la morte del poliziotto Emanuele Petri ucciso sul treno, è rimasto incagliato in divisioni interne, defezioni, autoesclusioni ed espulsioni. Fin dalle origini. Al punto di non poter sopravvivere alla «caduta» dei due latitanti.

E’ la stessa «pentita» Banelli a dire che prima ancora degli arresti seguiti alle indagini scaturite dalla sparatoria sul Roma-Firenze, l’organizzazione morì in quello scontro a fuoco. Ha raccontato che un compagno, Roberto Morandi, stava tentando «una riorganizzazione delle forze», ma «le Brigate rosse erano di nuovo uscite di scena, nel senso che le forze rimaste non potevano perseguire né l’attacco strategico (cioè nuovi omicidi, ndr ), né la direzione dello scontro», vale a dire la scelta di quale strada imboccare.

Ora si vedrà se, dopo la detenuta neo-mamma, altri imputati di quella banda armata vorranno raccontare la loro verità fornendo nuovi particolari. A cominciare da quel Di Giovannangelo che ieri è stato reinterrogato dai magistrati fiorentini, anche se proprio la Banelli gli ha assegnato un ruolo minore all’interno del gruppo: forniva indicazioni per le rapine, e doveva trovare un falso documento d’identità chiesto da Morandi nel suo tentativo di «riorganizzare le forze».

In quei giorni di sbandamento la Banelli fu messa a parte di qualche idea, ma di fatto era già stata espulsa dalle Br. E secondo il suo racconto, la prima defezione arriva all’inizio della storia, quando i Nuclei comunisti combattenti spuntati nel biennio 1992-94 tra il Lazio e la Toscana decisero di fare il salto verso le nuove Brigate rosse. Era la seconda metà degli anni Novanta e il militante oggi ultracinquantenne Giuliano Pinori, che aveva messo la Banelli in contatto con Nadia Lioce quando quest’ultima si era data alla latitanza volontaria dopo l’arresto del suo compagno Luigi Fuccini, decise di passare la mano: «Dopo circa un anno sono stata nuovamente contattata da Pinori, il quale mi disse di voler interrompere i rapporti con l’organizzazione. Successivamente si è allontanato». Era la fine del ’97, o l’inizio del ’98: il progetto di ricomposizione delle Br aveva preso il via.

Pinori faceva politica negli ambienti dell’estremismo pisano, come la Banelli e come Luigi Fuccini arrestato nel ’95 per partecipazione agli Ncc. Alla ricomparsa delle Br, nel ’99, era nuovamente fuori: «Era considerato un prigioniero, quindi l’organizzazione se ne faceva carico, ma non ha mai svolto compiti nello specifico». Su Pisa gravitava anche Adriano Ascoli, più giovane degli altri, che però «non era un militante». Ebbe dei contatti con la Lioce, poi si ritrovò in «un rapporto critico con l’organizzazione» finché non chiese «di ricostruire un rapporto, anche da esterno». Ascoli scrisse dei documenti, «ma non venne riconosciuto valido il suo elaborato con autocritica». Patente di brigatista rifiutata, dunque.

A Roma, invece, «un militante si è allontanato in contemporanea con l’iniziativa D’Antona». Secondo il bilancio tracciato dalle Br «aveva una posizione eccessivamente difensivistica, quindi non in linea con l’impianto dell’organizzazione», manifestando una «non compatibilità politica con il salto». In sostanza, quando i Nuclei pianificano l’omicidio per diventare Br, quel militante si chiama (o viene messo) fuori. La Banelli dice di non saperne il nome, dei «romani» conosce soltanto Mario Galesi e Laura Proietti, la donna incontrata la mattina del delitto D’Antona. Anche lei, nella storia scritta finora dalla «pentita», è uscita dalle Br prima dell’omicidio Biagi, insieme a un altro militante reclutato nella capitale.

La scarsità di mezzi e uomini non impediva di dire no ad aspiranti brigatisti come Ascoli, mentre ha spinto le Br a rivolgersi ai «prigionieri politici» usciti dal carcere. La Banelli ne cita tre: i fiorentini Marco Venturini e Daniele Bencini, più un romano di cui dice di ignorare il nome. Ma il primo aveva già abbandonato la militanza, e il secondo portava addosso una macchia: «Apparteneva a una posizione diversa da quella principale dei prigionieri, firmava i documenti del gruppo di Aviano», cioè i sedicenti brigatisti responsabili di un attentato del ’93 non avallato dagli altri irriducibili. Ancora divisioni, quindi, che bloccarono il reclutamento, anche se la Banelli sostiene di non conoscere la conclusione della vicenda. Per via di un’altra defezione, la sua: «Dopo c’è una crisi mia, per cui una parte di programma a me non veniva più comunicato».

Una crisi che non impedisce alla brigatista Cinzia Banelli di partecipare all’omicidio Biagi: «Non è che viene meno il mio contributo, l’arretramento è politico, non è un’uscita dall’organizzazione... Per cui viene deciso congiuntamente sia da me che da Galesi, di posticipare la soluzione politica a una fase successiva». Il pm domanda se non potevano trovarsi dei «rincalzi» per sostituirla nell’attentato a Biagi, e la Banelli risponde: «Non c’erano forze sufficienti, evidentemente».

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