Da Corriere della Sera del 15/09/2004

Usa e Ue davanti alla nuova Russia

Lo zar Putin volta pagina

di Sergio Romano

Quando Putin, dopo il massacro di Beslan, ammise pubblicamente le carenze dei servizi di polizia e deplorò lo stato di debolezza in cui il Paese era caduto dopo la guerra fredda, gli osservatori stranieri avrebbero dovuto drizzare le orecchie. Non era un atto di contrizione. Non era il profondo inchino con cui un uomo di Stato giapponese chiede perdono ai connazionali per i suoi errori. I mea culpa non appartengono alla tradizione dell’autocrazia russa. Quelle parole preannunciavano la grande riforma costituzionale che il presidente ha annunciato lunedì. I collegi uninominali verranno soppressi, i deputati della Duma saranno eletti esclusivamente con metodo proporzionale, i governatori delle regioni saranno nominati dal Cremlino e approvati con voto di fiducia dai parlamenti locali. Esisterà ancora sugli atlanti una Federazione russa, ma il federalismo, d’ora in poi, sarà nominale o fortemente controllato da Mosca. Molti sosterranno che la questione cecena è il pretesto di cui Putin si è servito per realizzare finalmente il suo Stato autoritario. E’ vero soltanto in parte. All’inizio di una «lettera filosofica», mai terminata, un grande russo dell’Ottocento, Piotr Ciaadaev, suggerì che nulla era stato così importante per la storia politica della Russia quanto il controllo del suo enorme spazio, conquistato grazie a una continua combinazione di paura e ingordigia. L’accanimento di Mosca contro la Cecenia ci sarebbe parso più comprensibile se ci fossimo resi conto dei rischi che la Russia post-sovietica ha corso in questi anni. I governatori si sono impadroniti delle loro regioni. Gli oligarchi hanno gestito le loro aziende come feudi extraterritoriali. I confini con le repubbliche ex sovietiche sono mal sorvegliati e permeabili. La vecchia Armata Rossa è in ginocchio. Le catastrofi tecnologiche appartengono alla cronaca quotidiana. La criminalità dilaga. Buona parte dell’amministrazione è inefficiente o corrotta. E non vi è atto amministrativo, piccolo o grande, che non abbia un prezzo. La Cecenia, in questo contesto, è molto più di una piccola repubblica secessionista, alle pendici del Caucaso. E’ il terreno su cui la Russia gioca la sua unità.

La svolta costituzionale avrà ricadute internazionali. Per realizzare il suo progetto Putin farà appello al nazionalismo russo, rivendicherà per la Russia i suoi diritti di grande potenza e reagirà con crescente fastidio all’ingombrante presenza americana in Asia Centrale e nel Caucaso. Fra Mosca e Washington andrà in scena una nuova versione del «Grande Gioco» che impegnò la Russia zarista e la Gran Bretagna nell’Ottocento. Quando afferma che colpirà, se necessario, al di fuori del territorio nazionale, il vertice militare di Mosca pensa alle repubbliche ex sovietiche in cui il terrorismo potrebbe trovare rifugio. E dichiara implicitamente che la loro sovranità sarà, nella migliore delle ipotesi, dimezzata e controllata.

Dobbiamo prepararci a una nuova guerra fredda? Putin rimane nonostante tutto un modernizzatore, consapevole del ritardo accumulato dal suo Paese durante il regime comunista. Deve preservare l’unità dello Stato, ma deve anche svecchiare la Russia, liberare il suo straordinario potenziale economico, metterla in condizione di crescere. E sa che una politica culturalmente autarchica, come quella dell’epoca comunista, precipiterebbe il Paese in una nuova era della mediocrità. Ma l’esito di una partita internazionale dipende in ultima analisi dalla buona volontà di tutti i giocatori. I più importanti, in questo caso, sono l’America e l’Unione europea. Spetta a loro comprendere la Russia ed evitare che commetta troppi falli.

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