Da La Repubblica del 14/09/2004

Simbolo di un potere al servizio degli Usa: evitato a Parigi, accolto con cautela a Roma

La missione a ostacoli di un alleato scomodo

L´incontro con gli europarlamentari poteva apparire una "investitura politica"
Un´accoglienza trionfale può risultare un atto ostile per i rapitori degli ostaggi

di Bernardo Valli

PIÙ che contrasti, la visita di Ghazi al Yawar in Europa suscita imbarazzo. Un impaccio, variabile di capitale in capitale, che riflette i diversi atteggiamenti dei governi davanti al conflitto iracheno. I comportamenti di Parigi e Roma sono rivelatori: la prima ha preferito non ricevere il presidente ad interim dell´Iraq occupato; la seconda lo ha accolto, in quanto alleato, riducendo però al massimo il cerimoniale, per non dare troppo nell´occhio. E oggi Ghazi al Yawar sarà ospite a Bruxelles della Nato e vedrà alla Commissione europea Javier Solana e Chris Patten, incaricati della politica estera, ma non farà il saluto rituale al Parlamento di Strasburgo, come era previsto.

Il riserbo diplomatico, o se si vuole l´ipocrisia delle cancellerie, impedisce di aggiudicare con certezza a questo o a quel governo la responsabilità della mancata visita ai parlamentari europei, che avrebbe assunto un´importanza particolare per il governo di Bagdad, sostenuto dagli americani.

POTEVA apparire un simulacro di investitura da parte di un´assemblea democraticamente eletta: ed è stato negato a un potere in pratica designato dalle forze d´occupazione. Il motivo contingente dell´annullamento, quello dettato dall´emergenza, è comunque chiaro; quindi non è poi tanto misteriosa l´identità di coloro che possono averlo avanzato o che hanno preferito non contrastarlo. Principi politici e opportunità in questo caso hanno creato un consenso. Profilo basso per l´ospite di riguardo, personalmente rispettato, ma non tanto desiderato.

La presenza del presidente ad interim iracheno aumenta infatti, senza troppe distinzioni, l´angoscia delle capitali in preda ai tormenti degli ostaggi. I quali sono rimasti impigliati nel groviglio micidiale di una guerra civile: e si trovano nelle mani degli avversari del potere rappresentato da Ghazi al Yawar. Riservargli un´accoglienza trionfale può risultare un atto ostile agli occhi dei rapitori: e compromettere i già difficili tentativi di mettersi in contatto con loro.

Non è tanto in discussione il personaggio. Al Yawar è un ingegnere che ha vissuto a lungo in Arabia Saudita, dove ha contratto legami di parentela con la famiglia reale. La carica attuale è formale, non gli conferisce un potere reale. Nel giugno scorso è stato scelto più per la sua autorevolezza (in quanto sunnita, capo di una delle principali tribù del paese, in cui convivono sunniti e sciiti), che per la docilità nei confronti degli americani.

Quest´ultimi gli avrebbero preferito un vecchio diplomatico più malleabile.

Queste qualità, in tempi normali, collocherebbero al Yawar al di sopra delle parti; ma nella mischia irachena di oggi egli è il concreto, carnale simbolo di un potere che collabora con gli americani, impegnati nel finora vano tentativo di snidare i guerriglieri e i terroristi arroccati nel Triangolo sunnita, e in particolare a Falluja e a Ramadi. Le due città sono strette d´assedio da marines e guardie nazionali irachene, e bombardate quotidianamente dall´artiglieria e dall´aviazione, non sempre in grado di distinguere gli obiettivi, e quindi di colpire gli uomini armati, risparmiando i civili inermi. Insieme ai proiettili a Falluja e a Ramadi arrivano anche le immagini televisive di Al Jazeera e di Al Arabiya.

Gli ostaggi si trovano probabilmente in quella provincia centrale dell´Iraq. Una valle piatta tra il Tigri e l´Eufrate dove governano gli "emiri", capi di vari gruppi nazionalisti e jihadisti, alleati o concorrenti o rivali; dove infuriano il fanatismo e la passione; dove si preparano i kamikaze («la nostra tecnologia», dicono i teorici del suicidio patriottico o islamico). In quell´atmosfera, mentre si piangono i morti e si preparano agguati e attentati contro gli americani e i governativi iracheni, le immagini di al Yawar accolto con i tappeti rossi non inducono certo alla clemenza o alla ragionevolezza i rapitori. Né del resto l´offensiva promossa dieci giorni fa dai marines, la più importante da quando la sovranità formale è passata (il 28 giugno) dal governatore americano Bremer al primo ministro iracheno Allawi, ha favorito i negoziati in corso per ottenere la liberazione degli ostaggi francesi, i giornalisti Chesnot e Malbrunot, e del loro autista iracheno. Anzi li hanno interrotti. Né quell´operazione agevola in queste ore coloro che cercano di strappare alla mischia le nostre due Simone e i loro amici iracheni.

Da qui nasce il dilemma posto dall´ospite iracheno. Ghazi al Yawar è ufficialmente un alleato; ma un alleato scomodo. Lo è persino per le Nazioni Unite, che l´hanno riconosciuto ma che si guardano bene dall´inviargli i promessi consiglieri ed esperti. Non si fidano, hanno paura.

Se hai dei soldati impegnati in Iraq non hai scelta; sei costretto a ricevere il suo presidente ad interim; sia pur con cautela. Come ha fatto Roma. Se non ne hai, puoi anche lasciarlo fuori dalla porta. Come ha fatto Parigi. Ma rischi lo stesso di essere preso in ostaggio. Siamo un po´ tutti ostaggi dell´Iraq. Anche moralmente. Perché gli emiri di Falluja e di Ramadi non sono un´alternativa a Ghazi al Yawar. E lui, al di là della sua persona, per quel che rappresenta, è imbarazzante.

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