Da Corriere della Sera del 09/09/2004

LA CORSA ALLA CASA BIANCA

Il presidente primo al traguardo del Labor Day. La statistica contro Kerry

Ma per gli analisti questa volta il candidato in svantaggio può ribaltare i pronostici

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Saranno la lotta al terrorismo e l'economia, coi suoi riflessi sociali, a decidere le elezioni presidenziali di novembre. Lo dicono chiaramente i sondaggi. La guerra in Iraq, infatti, è al primo posto solo per il 17 per cento degli americani, mentre il terrorismo e l'economia lo sono per circa il 40 per cento, con una lieve supremazia del primo. Ciò favorisce il presidente Bush, che, nei sondaggi, ha un vantaggio molto maggiore sul terrorismo di quanto il senatore Kerry non lo abbia sull'economia, e alla convention repubblicana della settimana scorsa è riuscito a fare della sicurezza in America il tema per ora dominante del dibattito elettorale, ottenendone quel «bounce», cioè quel balzo in avanti che mancò al suo avversario alla convention di Boston. Come ha ricordato Mark Penn, uno degli analisti di Kerry, sul New York Times, tre volte su quattro è stato il candidato in testa nel Labor Day la Festa dei lavoratori, celebrata lo scorso 6 settembre, a vincere di lì a due mesi. Bush, che conserva un vantaggio tra i 7 e gli 11 punti, è in posizione migliore di quanto la Casa Bianca sperasse, mentre Kerry è in posizione peggiore di quanto i democratici temessero.

Il sorpasso effettuato dal presidente potrebbe essere però dovuto alla quasi concomitanza della convention col Labor Day e col terzo anniversario delle stragi delle Torri Gemelle dopodomani.

Vi hanno contribuito inoltre gli errori e l'evanescenza di Kerry, che ha puntato sui propri eroici trascorsi in Vietnam per neutralizzare l’immagine di leader di guerra di Bush senza rispondere alle accuse di essere una banderuola, né martellare sull’economia, come gli aveva invece consigliato di fare l'ex presidente Clinton. Ma non è escluso che nei 54 giorni di campagna elettorale che rimangono - e in politica sono un’eternità - il candidato democratico colmi il distacco. Secondo Adam Nagourney, analista politico, sono tre i fattori che potrebbero aiutarlo: il suo leggendario scatto finale a ogni elezione; la volubilità dell'elettorato (chi avrebbe predetto un anno fa la sua vittoria alle primarie su Howard Dean, il populista e pacifista che pareva irraggiungibile?); e la complessità dei problemi sul tappeto, la guerra dell'Iraq appunto, la direzione militare ed economica impressa all'America da Bush.

I sondaggi del week-end e quelli della settimana prossima diranno quale effetto potrebbero avere i mille e più soldati morti nel conflitto iracheno, gli attentati terroristici, gli enormi disavanzi del bilancio dello Stato e della bilancia commerciale, l'incapacità di Bush di creare occupazione, e il vertiginoso aumento delle spese mediche. David Gergen, un ex consigliere bipartisan della Casa Bianca - lavorò per presidenti sia repubblicani sia democratici - ritiene che Bush sia ancora vulnerabile, come lo fu per la maggiore parte dell'anno. Dai sondaggi che lo premiano, commenta, emergono inspiegabili contraddizioni: la maggioranza degli americani, per esempio, ritiene che il Paese vada nella direzione sbagliata; e quando s'interrogano gli iscritti ai registri elettorali, non quanti potrebbero votare, Kerry e il presidente sono a testa a testa. Dichiara Jim Carville l'ex guru di Clinton: «Sarei sorpreso se alla fine del mese il rapporto di forze fosse ancora impari».

E' chiaro comunque che la rimonta di Kerry, se ci sarà, sarà molto difficile. Larry Sabato, uno dei massimi esperti americani, gli rimprovera di non avere sottratto a Bush l’iniziativa: «Un presidente in carica è sempre avvantaggiato soprattutto in tempo di guerra, e Kerry gli ha lasciato dettare i temi e il tono delle elezioni. Il senatore si sta svegliando, ma potrebbe essere troppo tardi. Per venire eletto, non basta essere anti-Bush, bisogna rappresentare una concreta, migliore alternativa».

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