Da Il Messaggero del 08/09/2004

Vogliono soltanto fare terra bruciata

di Marcella Emiliani

CHE NON si fermassero di fronte a niente lo avevano già dimostrato, ma rapire due volontarie italiane e una irachena impegnate da anni ad alleviare le sofferenze della popolazione va oltre la barbarie consueta cui ci ha abituato questa guerra in Iraq. E’ l’ennesimo colpo basso all’Italia per costringerla ad abbandonare il terreno; è un pugno in faccia diretto al sistema degli aiuti umanitari disarmati, per dimostrare che non ci possono essere isole “felici” in cui a prevalere è lo spirito di cooperazione nel nome di valori condivisi a qualsiasi latitudine. Simona Pari e Simona Torretta di “Un ponte per Bagdad” il paese e le sue trappole li conoscono bene: l’organizzazione è presente in Iraq dal ’91 e prima aiutava la popolazione a sopportare l’embargo più lungo della storia delle sanzioni sotto il tallone di Saddam, ora a sopportare la guerra.

Tenevano aperte le scuole, facevano studiare i ragazzini senza imbracciare fucili. E se il contingente italiano presente a Nassiriya è costituito da militari professionisti, pur se impegnati nell’umanitario, per le volontarie sequestrate questo “equivoco” non era minimamente pensabile.

Però nell’ottica dell’Esercito islamico di turno (ma per ora non sappiamo se sia la stessa organizzazione che ha trucidato Baldoni o sequestrato i due giornalisti francesi), il pacifismo a tutto tondo è quasi più pericoloso di un’azione militare vera e propria, perché cancella il presupposto del suo stesso agire che è l’odio. L’Iraq nell’ottica dei sequestratori deve diventare terra bruciata per chiunque intenda dare una mano ad avviare la ricostruzione. Vogliono impedire a tutti i costi il ritorno alla normalità perché la normalità non crea tesori di guerra, non dà rendite di posizione ed è poco spendibile nell’immediato sul piano politico.

Col sequestro di due donne poi, questo banditismo elevato a unico metodo di lotta vuol dimostrare di non volersi fermare di fronte a niente: è come se promettesse un peggio che deve ancora arrivare e confida probabilmente che l’Occidente, per quanto smemorato, non abbia dimenticato che nella guerra civile jugoslava come in quella algerina di recente memoria sono state proprio le donne a subire gli affronti peggiori e a pagare un prezzo di sangue e umiliazione altissimo.

Tutto questo è terrorismo psicologico violentissimo sulle opinioni pubbliche occidentali, ma anche arabe, nuova benzina per un ricatto che vuol mettere in ginocchio “il nemico”. E non si venga a dire che una barbarie simile ha qualcosa a che vedere con l’Islam, quello vero, che velo o non velo le donne le rispetta. Anzi proprio l’abnormità del sequestro ha come suo scopo anche quello di mettere in forte difficoltà le gerarchie musulmane sunnite che sembrano essere gli unici canali “rispettabili” per trattare coi rapitori nell’area di Bagdad o comunque nel cosiddetto triangolo sunnita attorno alla capitale.

Ancora: tanto le gerarchie sunnite, quanto quelle sciite sono assieme ai capi tribali i pilastri su cui il governo di transizione può realmente contare per controllare il territorio e avviare una qualche forma di normalizzazione. Screditarle, tanto agli occhi della popolazione irachena quanto dei Paesi occidentali, fa parte di una strategia ben studiata che chiameremo della “creazione del nulla”, in cui a prevalere deve essere solo la violenza cieca. Può darsi infine che i sequestratori siano stati spinti dal fatto che il presidente iracheno dovrebbe arrivare in visita ufficiale in Italia venerdì prossimo, dopodomani. Può darsi. L’impressione però è che in Iraq si sia arrivati davvero ad un punto di non ritorno.

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