Da Corriere della Sera del 02/09/2004

Cheney atacca: "Kerry? Non sarà mai un leader"

Una platea in delirio applaude il discorso di investitura al grido «Usa, Usa, Usa». Ma fuori dal Madison Square Garden, un corteo lungo 5 chilometri urla slogan contro l’Amministrazione repubblicana

di Ennio Caretto

NEW YORK - E' l'anima conservatrice dei repubblicani che parla, il vicepresidente Richard Cheney, l'ideologo della Casa Bianca e l'eminenza grigia della Convention. Il suo sorriso ne mette a nudo le zanne da tigre: contrappone «la confusione di idee e di propositi in politica sia estera sia interna» del candidato democratico Kerry ai «provati decisionismo e leadership » del presidente Bush, si chiede se l'opposizione «si renda conto della differenza tra il pre e il post 11 settembre 2001», insiste che «senza sicurezza e libertà, di cui solo noi siamo garanti, non possono esserci progressi economici e sociali». Il discorso è un emotivo affresco storico, un’esaltazione della «unicità americana», un atto di fede nella destra, una carrellata «sui successi dell'Amministrazione». Ma l'obiettivo è di distruggere «la banderuola Kerry che da 20 anni si contraddice al Senato», un'alternativa improponibile, martella Cheney, all’eroico protettore della nazione Bush «del cui carattere testimonio di persona». Il vice ripropone con rabbia la dottrina della guerra preventiva: «Noi non chiederemo mai alla comunità internazionale il permesso di difenderci».

«Usa! Usa! Usa!», grida la folla in uno sventolio di bandiere. George Bush è a New York, incontra i pompieri, ricorda la sua risposta alle stragi del 2001, assapora l'incoronazione di questa notte, domattina in Italia. Preannuncia un intervento nobile, la promessa della vittoria nella guerra al terrorismo e in quella dell’Iraq, la visione di un avvenire sicuro, giusto, agiato. Ma per rendere tutto ciò credibile, ha bisogno che Dick Cheney - il suo «killer» lo chiamano i democratici - demonizzi John Kerry. Un bisogno divenuto più vivo nelle ultime ore perché il rivale lo ha attaccato all'improvviso e con ferocia inaspettata.

L'etichetta elettorale vuole che i democratici non disturbino la convention repubblicana e viceversa. Ma Kerry l’ha violata. Parlando nel Tennessee ai reduci della Seconda guerra mondiale, ha accusato Bush di «imperdonabili errori»: di avere perso l'occasione di catturare Bin Laden, «il più criminale nemico dell'America»; di avere spostato incautamente le truppe dall'Afghanistan all'Iraq; di avere ignorato l’avvertimento che occorreva un piano per vincere la pace a Bagdad; e di avere alienato gli alleati. «Ora Bush non è più certo dell’esito del confronto - ha tuonato -. Ma voi sapete che si va in guerra solo quando è inevitabile, e che si vince solo formando forti alleanze».

La serata dell'unità repubblicana diventa la serata della spaccatura in due dell'America. Nei tre anni trascorsi dalle stragi delle Torri Gemelle di Manhattan, l'elettorato si è polarizzato a causa della guerra dell'Iraq, e la tattica dell'Amministrazione di infangare Kerry gli impedisce di ritrovare un minimo di coesione. Su New York si alza il fantasma della Convention democratica di Chicago del '68, dominata dal conflitto del Vietnam, con analoghe dimostrazioni di protesta e analoga brutalità della polizia. La Grande Mela e la Superpotenza non sono più le stesse del 2001, la psicosi dell'assedio terrorista le rende quasi repressive. E Cheney, il vice più potente della storia americana, è il simbolo dell’involuzione. La sua demolizione della sfida della sinistra esalta il pubblico in sala. Ma fuori, migliaia di persone formano una fila di 5 km da Wall Street al Madison Square Garden denunciando la disoccupazione e gridando «Dick, a novembre sarà il suo turno!». E martedì, uno studente lo ha aggredito urlando: «Basta con gli assassini a Bagdad» e «Quanti soldi hai fatto col petrolio?».

Sul podio, dove due croci intarsiate rivolgono un invito subliminale alle tv a identificare i repubblicani con Dio, e dove alla mattina hanno fatto irruzione alcuni dimostranti, Cheney appare sordo alle polemiche, sicuro di sé. Ripete che Kerry è inaffidabile, non è capace di reggere l'America e i democratici si arrenderebbero al terrorismo: «Queste elezioni sono questione di vita o di morte». Non tutto il partito è con lui: i moderati osservano che il suo indice di popolarità è appena del 44 per cento (quello di John Edwards, il diretto e carismatico avversario, è del 52 per cento); e alcuni affermano che Bush dovrebbe sostituirlo con leader centristi come l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani o come il segretario di Stato Colin Powell.

Ma i neoconservatori ribattono che, per lo zoccolo duro del loro elettorato, Cheney è ancora più importante del presidente. E Bush gli conferma la fiducia schierando in tribuna d'onore, ad applaudirlo incessantemente, l'intero suo clan, quasi 50 persone, dal padre ex presidente ai cugini e nipoti. Invano Usa Today ricorda che a 63 anni Cheney ha già subito quattro infarti, e il suo «cuore matto» costituisce l'incognita più grave di un eventuale, secondo mandato di Bush.

Sarà il voto del 2 novembre a dimostrare se Dick Cheney costituisca la palla di piombo al piede di Bush che dicono i liberal, o rappresenti le ali su cui vola il presidente. Dai sondaggi, la tesi più fondata sembra la seconda: alla Convention, corre voce che in un «Bush bis» il controverso falco rimarrebbe intoccabile, mentre verrebbero sostituiti Powell, il dissidente numero uno, il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, macchiato dagli scandali delle torture ai detenuti iracheni, il consigliere per la Sicurezza Nazionale Condi Rice, sminuita dagli sbagli. È indubbio che questa notte, in una Manhattan blindata e semideserta, Bush spiccherà un altro balzo in avanti. In due mesi, tuttavia, può accadere di tutto, anche che gli Usa si ricredano sulla opportunità di sacrificare i diritti civili alla sicurezza, come scrive il Wall Street Journal , un quotidiano schierato con il presidente. Questa notte, il compito di Bush è di convincere l'America che governerebbe al centro, e perseguirebbe una politica estera «umile» come assicurò - ma poi non fece - nel 2000.

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