Da La Repubblica del 19/08/2004

Iraq, Sadr dice di arrendersi "Accetto le vostre condizioni"

I rapitori del giornalista americano: lo uccidiamo se gli Usa non si ritirano

Le condizioni accettate prevedono di lasciare la tomba di Ali, sciogliere la milizia e disarmarla
Il capo estremista si dichiara vinto; il ministro della Difesa promette di garantirgli l´amnistia
L´esercito americano avanza con forza anche a Sadr City, il sobborgo sciita di Bagdad: uccisi 50 miliziani

di Attilio Bolzoni

BAGDAD - Nella Najaf in fiamme c´è stata una resa incondizionata molto misteriosa. E fa ancora paura il predicatore ribelle che si dichiara vinto dopo dodici giorni e dodici notti di combattimenti, Moqtada che cede a poche ore dall´assedio finale di quella moschea dove era rinchiuso con i suoi miliziani, che accetta il diktat di Bagdad senza fiatare. Lasciare la tomba di Ali, il luogo più sacro degli sciiti che lui considera sua e della sua gente. Sciogliere l´esercito, disarmarlo, trasformarlo in un movimento politico. Una capitolazione sorprendente dopo l´ultimatum del governo iracheno che gli intimava di arrendersi, l´annuncio di un ritiro che sembra una manovra per prendere tempo, per sferrare in tempi migliori un´altra offensiva. Tutto in perfetto stile degli sciiti più radicali, piegarsi e poi contrattaccare. Lui, Moqtada, non ha però ancora ordinato alle milizie di deporre le armi. Se lo farà, il ministro della Difesa gli ha promesso l´amnistia generale. Tempi incerti, la zona del mausoleo è minata. È tutta da giocare la guerra di armi e la guerra di parole per conquistare Najaf.

I marines verso mezzogiorno erano già schierati per l´assalto, quando qualcuno è uscito dalla moschea dalla cupola d´oro con una lettera da consegnare al premier Iyad Allawi. C´era scritto che Moqtada Al Sadr «accoglieva ogni richiesta del governo». Stretto nella morsa dell´esercito americano, il capo degli sciiti che ha istigato le folle alla rivolta nell´Iraq del dopoguerra, non ha combattuto «fino all´ultima goccia di sangue» come aveva promesso appena tre giorni fa. Dopo ventiquattro ore di mistero e di terrore - riceve o non riceve gli ambasciatori di pace, fa saltare in aria la tomba di Ali, si fa scudo con le migliaia di sciiti arrivati in pellegrinaggio a Najaf - il comandante dell´Esercito del Mahdi ha mandato avanti un suo portavoce con quel messaggio di resa. Un´ora dopo i sei delegati di Bagdad in missione nella città santa hanno confermato: «Abbiamo appena ricevuto una lettera da Moqtada dove, "nel nome di dio", dava il benvenuto alle condizioni imposte dalla Conferenza». Pace fatta ma intanto a Najaf si continuava a sparare. Colpi di mitra agli angoli delle strade, esplosioni in un paio di quartieri, carri armati americani che chiudevano ancora tutti gli accessi al grande cimitero. Trenta i morti della notte, almeno dieci quelli del pomeriggio. E un´agitazione che montava sempre di più tra la città santa e la «green zone» di Bagdad, l´area super-blindata dove c´è il quartiere generale Usa e dove si è insediato il nuovo potere dell´Iraq. Tempeste di dubbi. Solo in pochi credevano alle reali intenzioni di pace di Moqtada. E quei pochi ripetevano un detto iracheno: «Moqtada ha visto il ferro caldo e si è adeguato». I più sospettavano che quello del leader sciita fosse uno stratagemma, uno dei suoi trucchi per liberarsi dell´assedio, per far slittare ancora una volta l´ultimatum del governo.

Era stato il ministro della Difesa Hazim Al Shaalan che di primo mattino aveva annunciato un suo blitz a Najaf. E alle tivù arabe aveva anticipato quello che sarebbe accaduto da lì a poco: «Attaccheremo la tomba di Alì: o Moqtada e i suoi se ne vanno o impartiremo loro una lezione che non dimenticheranno mai, schiacceremo l´Esercito del Mahdi». Nel mausoleo Moqtada ha studiato le mosse che doveva fare. Prima i suoi portavoce hanno spiegato che non avevano incontrato martedì sera i delegati di Bagdad «non per un rifiuto, ma perché impediti dai forti bombardamenti», poi che avevano finalmente ricevuto la loro lettera, poi ancora che «erano meravigliati dalla minaccia del ministro della Difesa». E in quel momento hanno annunciato il loro «consenso totale» alle condizioni poste dai delegati venuti da Bagdad. Ma con le armi sempre in pugno. Sono convinti che anche il governo stia bleffando in queste ore. Fa sapere Ali Al Lami, esponente del partito sciita Hezbollah, alleato di Al Sadr: «Il premier Allawi vuole sbarazzarsi di Moqtada in ogni caso».

Giornata di incertezze, lunga, nervosa. Con i rapitori del giornalista americano Micah Garen che ad Al Jazeera dicono di essere pronti a ucciderlo se gli americani non lasciano Najaf. Con gli americani che a a Sadr City, vanno avanti contro i ribelli: perdono un loro soldato, ma uccidono 50 miliziani. Nonostante il messaggio di tregua lanciato qualche ora prima da Moqtada si combatte anche nel grande quartiere sciita di Bagdad. Nonostante la "pace" di Najaf.

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