Da Corriere della Sera del 01/09/2004

E i no pronunciati dalla moglie Laura sono il più grande aiuto per George

di Ennio Caretto

NEW YORK - Dal palcoscenico, sotto uno striscione che proclama «W. stands for women» (W., ossia George W. Bush, significa donne) la first lady Laura sorride alle «security mom», le mamme preoccupate della sicurezza del Paese e le famiglie, signore in calze e tailleur bianchi, con collane di perle e con borsette e scarpe rosa. «Mio marito è sempre circondato da donne potenti», dichiara. «In ufficio». Una pausa sapiente. «E in famiglia».

Il pubblico femminile esplode in una risata e in un applauso interminabili: Laura si riferisce al consigliere della Casa Bianca Condoleezza Rice, la nera più influente d'America, e a se stessa.

In sala c'è Carl Sferrazza Anthony, la storica delle first ladies americane, compresa «la volpe d'argento» Barbara Bush, l'anziana e combattiva suocera di Laura. «E' ora - commenta - che il presidente capisca di avere nella moglie una importante carta elettorale da giocare». Il presidente l’ha giocata ieri sera assieme alla carta Schwarzenegger, e a giudicare dai media è stato un successo del Partito.

Laura è assai più popolare nei sondaggi, il 75 per cento contro il 50 per cento di Bush. E come rileva un altro storico, Robert Dalleck, il biografo di Kennedy, «proietta una immagine più moderata dove non tutto è bianco o nero, c'è anche qualcosa di grigio».

E' più facile per gli elettori fluttuanti, soprattutto per le donne, afferma Dalleck, identificarsi in lei che non in George W. con i suoi toni da messia: «La first lady non sa solo contenere gli impulsi dirompenti del marito, sa anche dissentire». Lo storico cita l'aborto, che lui vorrebbe abolire e lei no; il matrimonio gay, che lui vorrebbe vietare e lei lasciare decidere ai singoli Stati; e le ricerche sulle cellule staminali che lui vorrebbe limitare drasticamente e lei semplicemente regolamentare. «L'America sta imparando che la first lady ha una sua autonomia».

Secondo la Anthony, l'ascesa politica di Laura, che di norma si fa presentare dalle inquiete gemelle Barbara e Jenna, non è accidentale. «Laura svolgerà nella campagna una funzione analoga a quella di Hillary Clinton nel 1992», afferma. «Le due first lady non potrebbero essere più diverse. Ma Hillary umanizzò e Laura umanizzerà la figura del marito, mobilitando il voto femminile». Laura Bush non nasconde di perseguire proprio questi obiettivi. In un'intervista alla tv ha dichiarato di voler «tracciare un ritratto intimo del presidente, di uomo oltre che di leader, e spiegare perché meriti di essere rieletto». «La dama», come venne chiamata nel Texas in contrapposizione al consorte cow boy, potrebbe essere un fattore cruciale alle urne: colta e ragionevole - doti di cui Bush è carente - regge bene il confronto con la tempestosa rivale Teresa Heinz Kerry, l'ereditiera della fortuna del ketchup.

Per i democratici, il ricorso del presidente a Laura, tenuta nell'ombra dopo la convention del 2000, è un segno di disperazione. Per il guru elettorale Karl Rove è un modo di raggiungere gli elettori di mezzo e colmare il «divario del sesso», il distacco di Bush tra le donne, 5 per cento, dal candidato democratico John Kerry. I sondaggi indicano che sono le nubili, le divorziate, le ragazze madri, un terzo della popolazione femminile, a votare in massa contro Bush. Le donne sposate, in particolare dei ceti medio-alto e alto, le «security mom», alcune delle quali tengono la rivoltella nella borsetta, in assurda difesa non più dal crimine spicciolo ma dal terrorismo, sono in crescente maggioranza per il presidente. A New York la first lady si è rivolta a loro, le delegate alla convention. «Ma nei prossimi mesi - sostiene la Anthony - dedicherà la sua attenzione a quelle che hanno il problema dei figli, della istruzione, dell'assistenza sanitaria». Se Bush non verrà rieletto, conclude Dalleck, sarà per suo demerito. Se lo verrà, sarà anche per merito di Laura.

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