Da La Repubblica del 01/09/2004

"Con George un mondo sicuro" Scende in campo Laura Bush

Alla Convention repubblicana il "liberal" Schwarzenegger

Per la prima volta la "first lady" si espone in pubblico, con un appello all´America
Il governatore della California venuto dall´Austria si rivolge agli immigrati: "Noi crediamo nei vostri sogni"
La spaccatura che attraversa il paese esplode nella sala, quando i delegati si rivoltano contro il regista Moore

di Alberto Flores D'Arcais

NEW YORK - Lunedì sera Rudy Giuliani e Michael Moore, ieri Laura Bush, "Terminator" e gli anarchici. La Convention repubblicana si avvia verso il gran finale (stasera Cheney, domani sera Bush) tra piccole scaramucce di piazza - con i primi poliziotti feriti - anonimi oratori dall´anima ultraconservatrice che parlano a fari spenti, provocazioni del regista di Flint e grandi stelle del firmamento repubblicano che si assicurano flash, prime time televisivi e una buona posizione di partenza per la sfida della Casa Bianca 2008. Tutto in attesa dell´arrivo a New York di Re George sulla cui rielezione i cinquemila delegati (confortati dai sondaggi) sono pronti a scommettere.

Ieri sera le luci del palcoscenico hanno illuminato Laura Bush, la first lady discreta e solitamente silenziosa. Gli strateghi del marito puntano molto su di lei - quattro anni fa rimasta (per scelta) in secondo piano - sul suo volto rassicurante da brava ragazza che rappresenta l´altra faccia, quella "compassionevole" della Casa Bianca di guerra. Lei così diversa dalle prime donne democratiche; diversa dall´ultima first lady, Hillary, bravissima ma troppo politica, fredda ed intellettuale per piacere all´americano, diversa da quella che aspira ad essere la prossima "prima signora", le vedova Heinz, erede del ketchup, europea nata in Africa, troppo ambiziosa per rimanere dietro le quinte.

All´America che vota, soprattutto se vota repubblicano, non piacciono troppo le first lady che amano mettersi in mostra; ma per Laura valeva la pena fare un´eccezione, visto che secondo i sondaggi può spostare da sola decine di migliaia di voti. Lei lo sa bene. In quattro anni passati all´ombra del marito si è guadagnata il diritto di parlare ad alta voce e all´ultimo istante è riuscita ad imporre ai riluttanti organizzatori di far salire sul palcoscenico - sia pure solo per presentare la madre - anche Jenna e Barbara, le gemelle terribili che erano rimaste un po´ male per l´esclusione, quasi che le figlie del presidente contassero meno di quelle di Kerry che a Boston avevano avuto gli onori della ribalta.

Nel discorso - alcuni stralci sono stati anticipati - oltre al suo cavallo di battaglia (scuola ed educazione) la first lady ha parlato anche di sicurezza: «Il problema più importante per le mie figlie, per tutte le nostre famiglie, per il nostro futuro è il lavoro di George per proteggere il paese e sconfiggere il terrore in modo che tutti i bambini possano crescere in un mondo più sicuro. Sono orgogliosa di come ha guidato il paese con forza e con convinzione. Cinquanta milioni di uomini, donne e bambini nel mondo vivono in libertà grazie alla visione e alla leadership del presidente».

E´ stata anche la serata di Arnold Schwarzenegger, il body builder venuto dall´Austria, stella di Hollywood e marito di una Kennedy, che conquistando da governatore la California democratica è l´esempio vivente più riuscito di american dream e di integrazione. Poco importa se il suo è un repubblicanesimo un po´ sui generis, favorevole come è all´aborto, al controllo delle armi, ai matrimoni gay e alle ricerche sulle cellule staminali; nell´immaginario collettivo resta "Terminator", ruolo che in una Convention puntata su guerra e terrorismo può funzionare a pennello. Non ha deluso le aspettative ricordando la sua storia di immigrante («voglio che altri abbiano le mie stesse opportunità, ai miei compagni immigranti che mi stanno ascoltando voglio dire che sono i benvenuti in questo partito, che noi repubblicani ammiriamo la loro ambizione, incoraggiamo i loro sogni, crediamo nel loro futuro»), accomunando nei ringraziamenti Usa, partito e Bush - «ecco perché credo in questo paese, ecco perché credo in questo partito, ecco perché credo in questo presidente - e chiudendo con lo slogan di "Terminator" (I´ll be back, tornerò): «America is back».

Lunedì sera le star dovevano essere solo Rudy Giuliani e il senatore dell´Arizona John McCain, ma un imprevisto ha portato alla ribalta proprio il nemico numero uno dei repubblicani: Michael Moore. Il regista del documentario anti-Bush che ha trionfato a Cannes si è presentato agli ingressi del Madison Square Garden forte del suo pass giornalistico fornitogli dal quotidiano Usa Today (per cui scrive una column durante la Convention). Il suo ingresso ha provocato un mezzo parapiglia tra i giornalisti che lo assediavano e i poliziotti. Alla fine scortato quasi fosse un capo di Stato ha preso posto in una delle tribunette riservate alla stampa proprio mentre McCain iniziava a parlare.

Che fosse conscio o meno della presenza di Moore, quando il senatore dell´Arizona - che aveva strappato tiepidi applusi quando aveva citato la sconfitta dei taliban e applausi più convinti ricordando la caduta di Saddam - ha citato «un regista in malafede» il Madison Square Garden si è rivoltato con un boato contro il regista-columnist interrompendo il discorso di McCain per un paio di minuti chiusi al grido di four more years (ancora quattro anni di presidenza) cui Moore ha risposto con un´ironica L (per losers, perdenti).

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