Da La Repubblica del 31/08/2004

Parte la Convention di Bush i repubblicani puntano al centro

Sul palco solo i moderati. La destra più estrema rimane nell´ombra

Ma i più militanti fanno adottare la piattaforma anti-gay

di Alberto Flores D'Arcais

NEW YORK - Con la formale richiesta di renomination per George W. Bush e Dick Cheney la Convention repubblicana ha aperto ieri l´ultima parte della corsa alla Casa Bianca, quella che nelle aspettative del Grand Old Party si concluderà il 2 novembre con la conferma del presidente "commander in chief". Alle dieci di mattina le centinaia di delegati che avevano deciso di assistere all´apertura dei lavori (una buona metà ha preferito lo shopping e il turismo in attesa della serata con i big) si sono riversati sul Madison Square Garden passando per una Settima Avenue completamente transennata, priva del solito traffico e dei newyorchesi, totalmente appaltata a delegati, poliziotti e giornalisti.

Dopo il "call to order" di Ed Gillespie, presidente del partito e grande stratega della rielezione del ticket Bush-Cheney («per la prima volta ci incontriamo a New York City, una delle più grandi città del mondo, per illuminare l´orgogliosa storia del nostro partito, i grandi successi del nostro presidente e la sua positiva agenda per il futuro») i delegati sono stati a chiamati a votare - stato per stato in ordine alfabetico - i candidati con una procedura che andrà avanti fino a domani sera. Bush e Cheney sono stati proposti come candidati unici e il voto ha preso inizio proprio mentre il vicepresidente, accompagnato dalla moglie Lynne, entrava a sorpresa nel palco a lui riservato, quasi a voler smentire con la sua presenza le voci riportate dal Wall Street Journal di un suo possibile ritiro per motivi di salute.

Una presenza che si nota, quella di Cheney a New York. Contrariamente a quanto accaduto dall´11 settembre - da allora Cheney vive praticamente nascosto in un rifugio ultrasegreto - il vicepresidente non può passare inosservato visto che gira per le strade di Manhattan in una limousine scortata da decine di jeep della polizia, incurante delle maledizioni che qualche newyorchese (di fede democratica) bloccato ai semafori gli grida ad alta voce. Domenica ha fatto un comizio a Ellis Island, ieri è stato il primo vip a fare l´ingresso al Madison, insomma la star - in attesa dell´arrivo di Bush giovedì - è proprio lui. Cheney parlerà solo domani sera ma è riuscito nell´intento di togliere un po´ di spazio mediatico ai primi big scesi in campo ieri sera, Rudolph Giuliani e John McCain, i due campioni dei repubblicani moderati.

La destra del partito è stata tenuta fuori dal palco principale nella convinzione che i discorsi di uomini come Pat Buchanan o Gary Bauer avrebbero potuto sì incendiare una platea militante ma avrebbero al tempo stesso potuto allontanare l´elettorato moderato degli indecisi. Un errore, quello di dare ampio spazio alla destra estrema e religiosa, che secondo gli uomini di Ed Gillespie «aiutò» la sconfitta di Bush padre contro Clinton nel 1992. Tenuta lontano dal palco la destra repubblicana si è presa subito una bella soddisfazione facendo approvare ieri mattina la piattaforma del partito per acclamazione con le modifiche introdotte appunto dal suo leader Gary Bauer e dall´antifemminista dichiarata Phillis Schlafly su temi discussi come le nozze gay. «Abbiamo vinto su tutta la linea», ha dichiarato la Schlafly, dopo esser riuscita a impedire i tentativi di ammorbidire la linea del partito sull´aborto. Né servirà la presenza della figlia di Cheney, Mary, una lesbica dichiarata che lavora nella campagna di rielezione del padre e che ha fatto prendere al vicepresidente le distanze da Bush e dalla maggioranza del partito su un tema come quello dei diritti dei gay visto come il fumo negli occhi dalla maggioranza dei delegati.

Se le luci della ribalta sono tutte per i moderati (ieri Giuliani, oggi sarà la volta Schwarzenegger) nessun membro dello staff di Bush avrà l´onore del prime time televisivo indipendentemente dall´essere duro o moderato, falco o colomba. Non parleranno né Condoleezza Rice né il segretario di Stato Colin Powell, i due neri che furono decisivi nel portare Bush alla presidenza quattro anni fa, perché lo stesso presidente ha chiesto che gli uomini che alla Casa Bianca si occupano dei temi della guerra e della sicurezza non siano coinvolti in prima persona nel congresso politico per eccellenza del partito.

A parlare su questi temi ci ha pensato lui, George W. Bush, anche se molte miglia lontano dal Madison Square Garden. Lo ha fatto con un´intervista alla Nbc in cui ha ammesso errori e difficoltà, ma con cui ancora una volta ha voluto mostrare agli americani di essere l´uomo giusto per guidare il paese in un momento così diffcile: «La guerra al terrorismo sarà lunga ed estesa e non può essere vinta: al massimo, può ridurre il rischio che gruppi di estremisti ricorrano al terrorismo in futuro. Non possiamo mostrarci deboli ora, perché il nemico sfrutterebbe la nostra debolezza. Quando avremo la meglio in Afghanistan e in Iraq, sarà l´inizio della fine per gli estremisti».

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