Da La Repubblica del 30/08/2004

New York, la marcia dei 300mila "Vogliamo salvare l´America"

Rabbia contro la Casa Bianca: "L´impero del male"

Ragazze in topless, reduci di Najaf e gay: "Siamo i nemici del presidente"
"Ancora solo tre mesi", urlavano i dimostranti davanti al Madison Square Garden. I repubblicani: "Restiamo altri quattro anni"
"Portiamo a casa i nostri soldati" uno degli slogan più gridati. E l´avversario politico è la destra repubblicana più radicale
A guidare la protesta l´Oscar Michael Moore: "Questo Paese è contro la guerra"
La grande manifestazione si è svolta senza incidenti: pochi gli arresti

di Alberto Flores D'Arcais

NEW YORK - Il grande pannello digitale del Madison Square Garden cambia forme e colori, lo slogan sempre uguale a recitare "Thank You New York"; sotto il popolo della Grande Mela risponde a modo suo, sfilando, cantando e irridendo quelle poche decine di delegati in giacca (e qualche cravatta) che sfidando il solleone di una domenica di fine agosto guardano perplessi e un po´ irritati quel lungo e chiassoso serpentone che ironizza e maledice George W. Bush.

Alle 12 e 03 di ieri mattina due Americhe contrapposte si sono incontrate all´angolo della Settima Avenue con la 32esima strada, in quei pochi metri quadrati guardati a vista da un esercito di poliziotti pedoni, ciclisti o motociclisti (sui fiammanti scooter appena comprati dalla Piaggio), di agenti segreti con i capelli a spazzola e l´auricolare da adolescenti e da un esercito altrettanto numeroso di giornalisti e cameramen.

Due Americhe divise dal più odiato e il più amato dei presidenti, due mondi che inneggiano alla stessa patria e agli stessi valori, che vengono dalla stessa cultura e che mai come adesso appaiono divise praticamente su tutto. Perché lì, nei marciapiedi di Manhattan, si incontrano e si scontrano in un vociare di slogan simpatici e spiritosi, tetri e lugubri, le ali estreme dell´America del nuovo secolo: da una parte quella repubblicana, dei delegati compunti e sicuri di sé come dei gruppi neointegralisti venuti «a protestare contro la protesta», dall´altra quella che chiamare democratica sarebbe riduttivo visto che tra le centinaia di migliaia ieri in piazza c´era di tutto, diverse anime e diverse americhe alcune delle quali con il candidato democratico John Kerry hanno veramente poco a che fare.

A fare da collante, per i partigiani come per i nemici, è lui, George W. E a guidare la protesta dell´altra America non poteva essere che quel Michael Moore che molto più di "Jfk II" impersona la rabbia contro una Casa Bianca vista come ?impero del male´. «Chi è oggi in strada a New York è la maggioranza di questo paese, è una maggioranza contro la guerra che vuole riprendersi il paese», ha urlato il vincitore di Cannes dando il via al chiassoso corteo e galvanizzando gente già abbastanza galvanizzata con una delle sue frasi ad effetto: «I repubblicani sono depressi perché sanno che la fine è vicina, mancano solo un paio di mesi».

"Three more months", ancora (solo) tre mesi, urlavano a migliaia davanti al Madison Square Garden rispondendo muso contro muso ai fans di George Bush che dietro le transenne li stavano sbeffeggiando con il solito grido rituale ("Four more years", ancora quattro anni) che accompagna i presidenti che corrono per la seconda volta verso la Casa Bianca in un bell´esempio di tolleranza e democrazia.

Per una mattina i padroni delle strade di Manhattan sono stati loro, i manifestanti; dalla 14esima strada al Madison e poi girando indietro fino ad Union Square, a decine di migliaia - chi dice 200mila, chi trecento, i più ottimisti parlano di mezzo milione - hanno marciato contro le politiche di questa amministrazione, da quelle economiche a quelle sociali, fino ovviamente al cavallo di battaglia pacifista della guerra in Iraq.

Per la prima volta sono comparsi come gruppo organizzato ("Iraqi Veterans against the War") i reduci da Bagdad, Falluja o Najaf, i più cercati da giornalisti e telecamere con bandiere a stelle e strisce e cartelli inneggianti alla pace, circondati da amici e familiari che ritmano quasi militarmente gli slogan e le parole d´ordine: «portiamo a casa i nostri soldati», «Bush mente, chi muore?», «cacciamo la destra radicale», «salviamo l´America, cacciamo Bush».

Sfilano le organizzazioni sindacali, le organizzazioni ambientaliste e quelle gay, le donne e gli insegnanti, i gruppi etnici e i veterani delle guerre passate, numerosissimi quelli del Vietnam con i loro stendardi e le vecchie medaglie attaccate sul petto. Chiudono il corteo prima le "ragazze topless contro Bush" che sfilano a seno nudo, poi i "miliardari per Bush" i più ironici e divertenti tra i manifestanti, vestiti da banchieri e da signore dell´alta società che inneggiano - tra gli applausi di punk e anarchici - alla politica della Casa Bianca che favorisce i ricchi.

Se fosse in piazza, a John Kerry sarebbero venuti probabilmente i capelli ritti. La linea dettata da Michael Moore («l´America deve grandi scuse agli iracheni»), da Jesse Jackson («con questa marcia sfidiamo Bush, ma anche Kerry: se eletto, dovrà portare la pace e mantenerla») e dagli altri improvvisati leader della manifestazione farebbe fallire tutti gli sforzi che il candidato "eroe di guerra" sta facendo per apparire un moderato e conquistare così quei voti degli indecisi che saranno decisivi il prossimo 2 novembre.

E´ stata una giornata divertente anche per i delegati repubblicani che fin dalle prime ore della mattina hanno iniziato a invadere le strade della Grande Mela alla ricerca di negozi aperti (numerosissimi) per uno shopping familiare e incuriositi da questa città che per il terrorismo islamico è la Sodoma dei giorni nostri ma che anche agli occhi dell´americano medio appare a volte un po´ strana e diversa. Molti tra loro si sono dedicati al turismo, alle visite guidate dei luoghi-simbolo della città, i più fortunati e potenti hanno fatto da corte al vicepresidente Dick Cheney e agli altri papaveri del partito che si erano recati a Ellis Island - l´isola che accoglieva gli immigranti e che oggi è un grande museo - per un comizio elettorale in terra nemica.

E´ stata una giornata pacifica macchiata solo da qualche decina di arresti, i soliti ciclisti che volevano dirigersi in strade off-limits e qualche testa calda che voleva "riprendersi" Central Park, il grande parco di New York che una sentenza della Corte ha proibito ai manifestanti. Per gli arrestati la prima tappa è un magazzino sul fiume Hudson che dopo l´11 settembre era servito come centro di coordinamento per i soccorsi e che per la convention è stato trasformato in una prigione provvisoria.

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