Da Il Messaggero del 02/08/2004
IL SEGRETARIO RILANCIA
Follini all’Udc: non cambio linea, datemi forza
Oggi il consiglio nazionale dei centristi: questi giorni hanno dimostrato chi destabilizza la coalizione
di Mario Ajello
ROMA. Alla Domus Mariae, di nuovo lì, a distanza di poche settimane, riecco il parlamentino dell’Udc. Berlusconi è riuscito a scippare il partito a Follini? Per ora, no. La crisi interna a Forza Italia sta portando acqua al serbatoio centrista? Ancora no. La miccia del federalismo, inviso agli ex Dc, è sul punto di far esplodere la Casa delle libertà? Possibile. Quel che è certo è che, ufficialmente o no, molti di questi temi si affacceranno o almeno serpeggeranno nel consiglio nazionale dell’Udc oggi a Roma. Dove ci sarà, fra l’altro, da festeggiare - dopo tanti patemi d’animo soprattutto dell’interessato - la partenza di Rocco Buttiglione per l’Europa. Follini, ai suoi, chiederà una risposta sull’identità e sul progetto del partito, su come ci si è mossi in questi ultimi mesi agitatissimi e su quel che sarà il futuro dell’Udc. Insomma, per riassumere: stare nel Polo con il cappello in mano oppure starci da protagonisti competitivi, presenti ma non silenti, partner e non servi?
Non si tratterà di fare una semplice conta del chi è con Follini e chi contro (anche perchè al consiglio nazionale la maggioranza è assolutamente in favore del segretario), ma di vedere dove si vuole andare e soprattutto come. Un accenno alle primarie per le regionali. L’insistenza sul proporzionale. Ma la chiave principale del discorso di Follini riguarderà le riforme istituzionali. O meglio: la correzione delle medesime. «Se si vuol fare un tavolo tecnico sulle riforme - ecco il succo del suo ragionamento - l’Udc non si sottrarrà». Ma con la consapevolezza che i problemi in campo sono di natura politica e non tecnica. E quindi il leader chiederà al consiglio nazionale del partito di affidargli un preciso mandato politico riguardo al nodo delle riforme e dei rapporti con i partiti alleati. Che sono ciò che sono ma di sicuro - avvertirà Follini - «il fattore di instabilità dentro la maggioranza di governo non siamo noi, ma la Lega». Come si è visto l’altro giorno nella gazzarra alla Camera o durante la fiducia alla manovra economica («la votiamo, ma è l’ultima volta», minacciarono i lumbard) o in altre occasioni quasi a getto continuo. «Mi ribello - dirà Follini stamane - alla caricatura di una Udc che destabilizza. Non c’è stato, da parte nostra, un solo atto politico in questa direzione». E chissà se Berlusconi, fortemente irritato per i disordini dei leghisti sabato a Montecitorio, comincerà ad essere più disponibile all’ascolto nei confronti dell’alleato centrista.
Nel corpo del partito, intanto, c’è qualche voce isolata che - magari spingendosi troppo in là nelle proiezioni o negli auspici - traccia il seguente scenario eventuale: la devolution, così com’è, non passerà; quindi la Lega fuori dal governo e il buco che lascia verrà riempito dal gran ritorno di Tremonti (nemico di Berlusconi e amico di Bossi) come alfiere di una nuova ”questione settentrionale” in cui il federalismo ovviamente c’è ma meno ruspante e ideologico di quello attualmente rivendicato. Fantapolitica? Può essere. Ma questo sarebbe uno scenario magari interessante anche per l’Udc, che ha esigenza di allargarsi al Nord, per sfruttare la crisi di Forza Italia.
Per tornare sul terreno della concretezza, stamane Follini punterà a un chiarimento e a un rilancio della sua linea politica. L’importante, per lui, è che il semi-unanimismo che riscuoterà il segretario non sia uno dei classici ingredienti un po’ indecifrabili di cui si nutrì la Balena Bianca.
Non si tratterà di fare una semplice conta del chi è con Follini e chi contro (anche perchè al consiglio nazionale la maggioranza è assolutamente in favore del segretario), ma di vedere dove si vuole andare e soprattutto come. Un accenno alle primarie per le regionali. L’insistenza sul proporzionale. Ma la chiave principale del discorso di Follini riguarderà le riforme istituzionali. O meglio: la correzione delle medesime. «Se si vuol fare un tavolo tecnico sulle riforme - ecco il succo del suo ragionamento - l’Udc non si sottrarrà». Ma con la consapevolezza che i problemi in campo sono di natura politica e non tecnica. E quindi il leader chiederà al consiglio nazionale del partito di affidargli un preciso mandato politico riguardo al nodo delle riforme e dei rapporti con i partiti alleati. Che sono ciò che sono ma di sicuro - avvertirà Follini - «il fattore di instabilità dentro la maggioranza di governo non siamo noi, ma la Lega». Come si è visto l’altro giorno nella gazzarra alla Camera o durante la fiducia alla manovra economica («la votiamo, ma è l’ultima volta», minacciarono i lumbard) o in altre occasioni quasi a getto continuo. «Mi ribello - dirà Follini stamane - alla caricatura di una Udc che destabilizza. Non c’è stato, da parte nostra, un solo atto politico in questa direzione». E chissà se Berlusconi, fortemente irritato per i disordini dei leghisti sabato a Montecitorio, comincerà ad essere più disponibile all’ascolto nei confronti dell’alleato centrista.
Nel corpo del partito, intanto, c’è qualche voce isolata che - magari spingendosi troppo in là nelle proiezioni o negli auspici - traccia il seguente scenario eventuale: la devolution, così com’è, non passerà; quindi la Lega fuori dal governo e il buco che lascia verrà riempito dal gran ritorno di Tremonti (nemico di Berlusconi e amico di Bossi) come alfiere di una nuova ”questione settentrionale” in cui il federalismo ovviamente c’è ma meno ruspante e ideologico di quello attualmente rivendicato. Fantapolitica? Può essere. Ma questo sarebbe uno scenario magari interessante anche per l’Udc, che ha esigenza di allargarsi al Nord, per sfruttare la crisi di Forza Italia.
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