Da La Repubblica del 03/08/2004

Parla monsignor Delly, capo della chiesa cristiana irachena: "Ora può accadere di tutto"

"Vogliono cacciarci dal paese" la paura del patriarca caldeo

di Attilio Bolzoni

BAGDAD - «Sono sconvolto, ma perdono questi nostri fratelli che hanno ucciso tanti iracheni come loro. Li perdona Dio e io intanto prego perché si illuminino. Ma noi, in ogni caso, da questo Paese non ce ne andremo mai: siamo una sola famiglia, cristiani e musulmani, una sola grande famiglia», sussurra Emanuele Delly, capo della chiesa caldea, settecentomila fedeli in Iraq e altri due milioni sparsi nel mondo.

Il monsignore si siede in un angolo della sala riservata agli ospiti del Patriarcato caldeo di Babilonia, quartiere Al Mansour, palme rigogliose, giardini, le ville della Bagdad più ricca e potente. Saluta l´emissario iracheno degli Hezbollah libanesi che «è venuto a portare il suo cordoglio», riceve segretari, ascolta gli ultimi consigli dell´avvocato del patriarcato Ibrahim Toma, parla al telefono con il vescovo di Mosul che lo informa sul numero dei morti e sui danni alle chiese in quella città. Sospira monsignor Delly, 78 anni appena compiuti, patriarca dall´autunno del 2003 e vescovo dal 1961. E poi dice: «Me lo sentivo che stava accadendo qualcosa di veramente brutto qui in Iraq, ero preoccupato per la sicurezza dei cristiani, avevo molta paura per il caos che c´è da molti mesi, ma non avrei mai immaginato che arrivassero a tanto».

Chi è stato ad attaccare le chiese di Bagdad e di Mosul, chi ha ordinato di portare davanti ai luoghi di culto cristiani tutte quelle autobombe?
«Non lo so, e comunque io non sono in grado di accusare nessuno. Credo però che quelle autobombe di domenica non siano state solo un´offesa ai cristiani che vivono in Iraq, credo che abbiano voluto lanciare un messaggio più politico che religioso, un messaggio che va oltre l´obbiettivo della chiesa irachena ma che in qualche modo è una pressione nei confronti di tutto l´Occidente, l´Occidente che protegge tutti i cristiani».

Ma chi ha messo materialmente quelle bombe e chi ha voluto lanciare quel messaggio? Gli sciiti più estremisti? I sunniti di Al Zarqawi? Chi?
«Esamino i fatti e i fatti dicono che c´era un piano ben studiato, un piano coordinato. A bruciare i negozi di liquori dei cristiani nelle settimane e nei mesi scorsi erano stati sicuramente estremisti islamici, ma davanti a quest´attacco posso solo alzare gli occhi al cielo e pregare Dio e pregare per i fratelli che volevano ucciderci».

L´obbiettivo immediato dei terroristi che hanno colpito le chiese quale è, secondo lei?
«Era ed è quello di creare tensioni tra cristiani e musulmani, era ed è quello di cacciarci dall´Iraq. «.

Non crede che già da oggi molti cristiani lasceranno Bagdad e Mosul per paura?
«Non so, spero di no: noi dobbiamo rimanere qui. E comunque, io, non saprei come fare per impedire questa fuga».

Dopo le autobombe di domenica ci saranno altri attentati, le chiese saranno ancora nel mirino dei terroristi?
«La situazione è molto drammatica, dopo gli attentati di domenica pomeriggio può accadere di tutto ormai».

Quando ha saputo delle autobombe, quale è stata la sua prima reazione?
«Un dolore improvviso. Stavo celebrando messa in una chiesetta di Al Mansour, quando mi hanno avvertito delle prime due autobombe di Bagdad. Mezz´ora dopo le autobombe di Bagdad erano quattro e quelle di Mosul due. A quell´ora le nostre chiese erano piene di fedeli. Quale è stata la colpa di questi fedeli? Solo quella di essere cristiani. E adesso molte famiglie hanno perso le loro donne, i loro figli, i loro mariti. Hanno perso tutto in una domenica pomeriggio che noi cristiani iracheni non dimenticheremo mai».

Il patriarca si alza e se ne va. Solo. Senza guardie del corpo in giro per le strade di Bagdad. Ai suoi fedeli, infatti, ripete sempre: «Non è vero che sono solo e senza protezione: il Signore e la Madonna sono la mia scorta».

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