Da La Repubblica del 03/08/2004
Bagdad: "Gli attacchi ai cristiani sono stati ordinati da Zarqawi"
Le forze della coalizione circondano la casa di Sadr
L´ayatollah Ali Al Sistani, la massima autorità sciita, ha condannato duramente il "crimine terribile"
Erano dieci le autobombe che dovevano esplodere nel piano messo a punto dai terroristi
di Attilio Bolzoni
BAGDAD - Erano dieci le autobombe che dovevano esplodere domenica. Una davanti a ogni chiesa. Era questo il piano progettato dai terroristi. Ma tre sono state intercettate prima di saltare in aria. E una quarta, adiacente ad una moschea di Bagdad, ha fatto strage nel quartiere Hay Al Amin senza che se ne sapesse nulla fino al giorno dopo. Altri due i morti, due ragazzi che facevano parte del coro della parrocchia di Sant´Elia. Sale per il momento a 17 il numero dei cristiani uccisi nei loro luoghi di culto, in un attacco sincronizzato, un assalto senza precedenti in questo Iraq dove il terrore muta rapidamente strategia e obiettivi. E´ l´ultima sfida. E mentre il governo iracheno indica subito come mandante delle autobombe Abu Musab Al Zarqawi, l´uomo di Osama bin Laden a Bagdad, un gruppo fino ad ora sconosciuto rivendica gli attentati su Internet.
Su un sito islamico, i «fratelli mujaheddin» di un sedicente «Comitato di pianificazione e attuazione in Iraq» scrivono di «avere inferto dei dolorosi colpi alle tane dei Crociati, tane del male, della corruzione, del vizio e della cristianizzazione.
C´è stato un summit nel palazzo del governo dell´Iraq nella notte dopo l´assalto alle chiese, una «riunione d´emergenza». Poi ha parlato per tutti Mowaffaq Al Rubaie, il consigliere della sicurezza nazionale: «Non c´è ombra di dubbio che si tratti di un piano di Zarqawi, lui e i suoi estremisti stanno cercando di creare una frattura tra musulmani e cristiani in Iraq. E´ chiaro che vogliono far andare i cristiani via dal Paese». Quando il summit è finito, tra Bagdad e Mosul si cominciava a fare la conta dei morti e dei feriti, centinaia quelli ricoverati negli ospedali. E cominciavano anche a circolare nuovi particolari sugli attentati di domenica pomeriggio. Come quello dell´autobomba che un altro kamikaze ha portato nel cortile della chiesa di Sant´Elia dove sono rimasti uccisi quei due ragazzi, uno di 18 e l´altro di 20 anni. O come quelli delle altre due autobombe individuate prima che esplodessero. Una su a Mosul, la seconda nella chiesetta caldea di Neerya, un quartiere popolare abitato da più di tremila cristiani. E poi la notte prima la polizia irachena aveva trovato quell´altra autobomba davanti alla chiesa del rione Hay Palestine, fili staccati e portabagagli pieno di tritolo. I bersagli scelti dai terroristi erano proprio dieci. Giravano tante voci ieri mattina a Bagdad sui possibili mandanti delle stragi, prima delle dichiarazioni ufficiali e prima di quella rivendicazione sul web sulla cui attendibilità vi sono dubbi. Molte parlavano di un «gioco grande», che partirebbe dall´Iran e dai suoi interessi a destabilizzare a ogni costo il vicino Iraq.
Una valanga di ipotesi seguita da una valanga di «solidarietà». Le più varie e anche le più inattese. La prima della giornata è arrivata addirittura da Moqtada Al Sadr, il giovane leader radicale sciita che nei mesi scorsi è stato protagonista con il suo esercito di violentissimi scontri con gli americani nelle città sante di Kerbala e di Najaf. La sua casa di Najaf è stata sotto assedio delle forze di coalizione per un´ora anche ieri, c´è stata una lunga sparatoria e poi è tornata la calma. Sulle chiese colpite, Moqtada ha fatto parlare il suo portavoce Ahmed Al Shaabani: «Condanniamo vigorosamente questi atti criminali e manifestiamo la nostra amicizia ai fratelli cristiani d´Iraq». E ha concluso: «Siamo pronti ad aiutare per catturare i terroristi». Subito dopo si è fatto sentire anche il grande ayatollah Ali Al Sistani, la massima autorità sciita dell´Iraq, una delle personalità religiose più venerate in questo Paese. Poche parole: «Quegli attentati sono crimini terribili».
Un coro di condanne il giorno dopo, ma anche tanta paura per i cristiani che vivono in Iraq. Da un po´ di tempo si aspettavano qualcosa, dopo gli omicidi dei giovani caldei che gestivano negozi di liquori a Bagdad, a Mosul, a Baquba. Un´angoscia crescente. «Il timore di attentati era nell´aria da almeno 4 mesi, quando avevamo ricevuto le prime minacce», spiega Manuel Hernandez, uno dei due Carmelitani scalzi rimasti a Bagdad. E aggiunge: «Quello che è accaduto ieri a Bagdad rappresenta una svolta significativa e inaspettata, è un segnale politico che apre nuovi preoccupanti scenari. La Chiesa, come tutte le realtà che hanno ancora una struttura nell´Iraq postbellico è considerata un nemico da combattere per proseguire nel programma di distruzione. Queste bombe non vanno intese come un attacco dei musulmani alla Chiesa. Hanno colpito le Chiese sperando di costringere i religiosi a lasciare il Paese». E i primi cristiani caldei cominciano a lasciarlo l´Iraq, il giorno dopo. Uno di loro, ieri mattina, si è licenziato dalla fabbrica di ammortizzatori per camion dove lavorava da più di dieci anni. Si chiama Amunib Hanna. In fretta e furia ha venduto per pochi dinari la sua casa, ha prenotato un taxi per dopodomani. Con moglie e due figli, Amunib entro venerdì lascerà Bagdad per andare a vivere in Siria.
Su un sito islamico, i «fratelli mujaheddin» di un sedicente «Comitato di pianificazione e attuazione in Iraq» scrivono di «avere inferto dei dolorosi colpi alle tane dei Crociati, tane del male, della corruzione, del vizio e della cristianizzazione.
C´è stato un summit nel palazzo del governo dell´Iraq nella notte dopo l´assalto alle chiese, una «riunione d´emergenza». Poi ha parlato per tutti Mowaffaq Al Rubaie, il consigliere della sicurezza nazionale: «Non c´è ombra di dubbio che si tratti di un piano di Zarqawi, lui e i suoi estremisti stanno cercando di creare una frattura tra musulmani e cristiani in Iraq. E´ chiaro che vogliono far andare i cristiani via dal Paese». Quando il summit è finito, tra Bagdad e Mosul si cominciava a fare la conta dei morti e dei feriti, centinaia quelli ricoverati negli ospedali. E cominciavano anche a circolare nuovi particolari sugli attentati di domenica pomeriggio. Come quello dell´autobomba che un altro kamikaze ha portato nel cortile della chiesa di Sant´Elia dove sono rimasti uccisi quei due ragazzi, uno di 18 e l´altro di 20 anni. O come quelli delle altre due autobombe individuate prima che esplodessero. Una su a Mosul, la seconda nella chiesetta caldea di Neerya, un quartiere popolare abitato da più di tremila cristiani. E poi la notte prima la polizia irachena aveva trovato quell´altra autobomba davanti alla chiesa del rione Hay Palestine, fili staccati e portabagagli pieno di tritolo. I bersagli scelti dai terroristi erano proprio dieci. Giravano tante voci ieri mattina a Bagdad sui possibili mandanti delle stragi, prima delle dichiarazioni ufficiali e prima di quella rivendicazione sul web sulla cui attendibilità vi sono dubbi. Molte parlavano di un «gioco grande», che partirebbe dall´Iran e dai suoi interessi a destabilizzare a ogni costo il vicino Iraq.
Una valanga di ipotesi seguita da una valanga di «solidarietà». Le più varie e anche le più inattese. La prima della giornata è arrivata addirittura da Moqtada Al Sadr, il giovane leader radicale sciita che nei mesi scorsi è stato protagonista con il suo esercito di violentissimi scontri con gli americani nelle città sante di Kerbala e di Najaf. La sua casa di Najaf è stata sotto assedio delle forze di coalizione per un´ora anche ieri, c´è stata una lunga sparatoria e poi è tornata la calma. Sulle chiese colpite, Moqtada ha fatto parlare il suo portavoce Ahmed Al Shaabani: «Condanniamo vigorosamente questi atti criminali e manifestiamo la nostra amicizia ai fratelli cristiani d´Iraq». E ha concluso: «Siamo pronti ad aiutare per catturare i terroristi». Subito dopo si è fatto sentire anche il grande ayatollah Ali Al Sistani, la massima autorità sciita dell´Iraq, una delle personalità religiose più venerate in questo Paese. Poche parole: «Quegli attentati sono crimini terribili».
Un coro di condanne il giorno dopo, ma anche tanta paura per i cristiani che vivono in Iraq. Da un po´ di tempo si aspettavano qualcosa, dopo gli omicidi dei giovani caldei che gestivano negozi di liquori a Bagdad, a Mosul, a Baquba. Un´angoscia crescente. «Il timore di attentati era nell´aria da almeno 4 mesi, quando avevamo ricevuto le prime minacce», spiega Manuel Hernandez, uno dei due Carmelitani scalzi rimasti a Bagdad. E aggiunge: «Quello che è accaduto ieri a Bagdad rappresenta una svolta significativa e inaspettata, è un segnale politico che apre nuovi preoccupanti scenari. La Chiesa, come tutte le realtà che hanno ancora una struttura nell´Iraq postbellico è considerata un nemico da combattere per proseguire nel programma di distruzione. Queste bombe non vanno intese come un attacco dei musulmani alla Chiesa. Hanno colpito le Chiese sperando di costringere i religiosi a lasciare il Paese». E i primi cristiani caldei cominciano a lasciarlo l´Iraq, il giorno dopo. Uno di loro, ieri mattina, si è licenziato dalla fabbrica di ammortizzatori per camion dove lavorava da più di dieci anni. Si chiama Amunib Hanna. In fretta e furia ha venduto per pochi dinari la sua casa, ha prenotato un taxi per dopodomani. Con moglie e due figli, Amunib entro venerdì lascerà Bagdad per andare a vivere in Siria.
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