Da Corriere della Sera del 30/07/2004

Kerry: «Unirò l’America che Bush ha diviso»

I democratici incoronano il candidato alla Casa Bianca. «Gli Stati Uniti in guerra solo se necessario»

di Ennio Caretto

BOSTON - «Siamo ottimisti. Il futuro non appartiene alla paura ma alla libertà». Davanti a una folla che scandisce il suo nome, John Kerry scrive la penultima pagina del suo sogno americano, la conquista della Casa Bianca, un sogno cominciato 35 anni fa nelle paludi del Vietnam. Nell’ora della sua incoronazione a candidato presidenziale, Kerry tiene una conversazione con l'America. Come nel ’92 Bill Clinton, il suo modello, non è l'apoteosi della convention a motivarlo ma il bisogno di farsi conoscere come uomo, soldato, statista. Il suo discorso è sì una sfida a Bush, «il presidente che ha diviso la nazione e che ha adottato la strategia sbagliata contro il terrorismo». Ma Kerry si richiama soprattutto al proprio eroismo: «Ho difeso questo Paese da ragazzo, lo difenderò da presidente».

Kerry cerca di convincere l'elettorato che sarà un buon comandante in capo delle forze armate, ruolo che Bush ha ingigantito con la dottrina della guerra preventiva e indebolito con la caccia alle introvabili armi di sterminio di Saddam: «C’è un modo giusto e uno sbagliato di essere forti - dice -. Riformerò subito il sistema dei servizi d’informazione, in modo che la politica sia guidata dai fatti, e che i fatti mai siano distorti dalla politica». Il senatore promette che «investirà nel Paese». Punta il dito sulle difficoltà economiche della classe media: «Gli stipendi scendono e i costi per la sanità crescono, la nostra middle class è sempre più povera. Molti sono costretti a lavorare nel week-end, fanno due o tre lavori, eppure non riescono ad andare avanti».

Kerry traccia il quadro di una nazione non più in preda alla paura, come è da tre anni, ma spronata dall'ottimismo: «È giunta la speranza» ripete, echeggiando il suo vice John Edwards. Il candidato ripropone gli slogan della campagna elettorale: «Un'America più forte in casa, rispettata all'estero» e di nuovo in sintonia con l'Onu e con l'Europa; «un'America che può», in contrapposizione a quella temuta ma isolata di Bush. «Riporterò questa nazione alle sue tradizioni consacrate nel tempo: gli Stati Uniti mai vanno in guerra perché lo vogliono, ci andiamo solo perché siamo tenuti a farlo». Una mano tesa al mondo: «Bisogna che all’America si guardi con ammirazione, non con paura». Il discorso non vale per i terroristi: «Costruirò un esercito più forte e alleanze più stabili. Così saremo in grado di dire ai terroristi: "Voi perderete, noi vinceremo"».

Nella notte delle ovazioni e dei centomila palloncini, il discorso mantiene un tono personale e autobiografico, non politico e programmatico. È come se Kerry temesse di non venire accettato da milioni di famiglie attorno alle tv. Il giorno del giudizio del candidato in grigio, come viene chiamato per la sua mancanza di carisma, un giorno che conduce la superpotenza, polarizzata come non mai, a un bivio storico tra destra e sinistra, inizia nella tarda mattinata, con la visita al Fleet Center per prendere le misure con microfoni e delegazioni. Kerry si diverte con i giornalisti: «Quarto potere, sono venuto ad annunciarti che il tuo regno è terminato»; e ancora: «Non potrei fare subito il discorso?».

Sul palco, i commilitoni del Vietnam, «la banda di fratelli», si preparano a recitare la parte di «spalle». Le figlie Vanessa e Alessandra, le due rivali delle gemelle Bush, Barbara e Jenna, mandano a memoria i loro interventi, come l'ex Segretario di Stato Madeleine Albright, simbolo con Hillary Clinton della preminenza delle donne nel partito. L'ex senatore Max Cleland, il migliore amico di Kerry, un mutilato della guerra vietnamita, in carrozzella gli farà da presentatore. Fuori del palazzo, i repubblicani attaccano: «Non fidatevi - insiste l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani - è una banderuola».

A sera tarda il candidato si fa precedere da un breve film, «Una notevole promessa», girato da James Moll, pupillo del regista Steven Spielberg. Il film mostra i genitori, il padre pilota della Marina e poi diplomatico, la madre capo delle girl scout ; i compagni di scuola, di università e di guerra; scene girate da Kerry stesso in Vietnam; le famiglie, la sua e quella della moglie Teresa Heinz nell'intimità domestica e le attività sportive; il lavoro al Senato.

Sono le 22, le 4 di stamane in Italia, quando Kerry si affaccia al podio, annunciato da Carole King con la canzone «You got a friend», tu hai un amico. Era dal '71, quando depose alla Camera contro il conflitto vietnamita e lo sentì gridare «Come si può chiedere a un uomo di morire per una causa sbagliata?», che l'America non si concentrava su di lui.

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