Da La Repubblica del 30/07/2004

Il leader democratico supera nei sondaggi il presidente Bush solo su sanità e economia

Guerra in Iraq, lotta al terrorismo lo sfidante non ha ancora un piano

di Alberto Flores D'Arcais

BOSTON - «Strong at home, respected abroad». Nella corsa democratica alla Casa Bianca è lo slogan-guida della "nuova America", scritto nel preambolo del programma, ripetuto dagli oratori, cantato dai delegati. Per John Forbes Kerry il futuro presidenziale è racchiuso in quelle cinque parole, nella sua capacità reale di convincere gli americani, gli elettori indipendenti e i repubblicani delusi che è proprio lui l´uomo giusto per rendere l´America ´più forte all´interno, più rispettata all´estero´.

La prima parte dello slogan è quella più congeniale al senatore del Massachusetts. In tutti i polls, i sondaggi che inondano ogni giorno giornali e siti web, gli elettori si fidano più di Kerry che del presidente uscente nei temi interni: l´ultimo rilevamento di Time ci dice che è in vantaggio sull´economia (50 per cento contro 42), la sanità (53 a 36), la capacità di comprendere i bisogni della gente (52 a 40).

Se la "Race 2004" fosse come le ultime quattro John Forbes Kerry potrebbe dormire sonni tranquilli. Dal 1988 al 2000 le questioni di politica interna erano infatti di gran lunga le più importanti per conquistare il voto degli elettori mentre i temi di politica estera erano quasi inesistenti. Se nel 1988, quando vinse Bush padre, quanto accadeva in quello che veniva chiamato "scacchiere internazionale" era ancora importante per il 16 per cento degli elettori, nel 1992 - prima vittoria di Clinton - la percentuale scende al 2 per cento. L´impero sovietico era crollato, l´America sembrava non avere più nemici e per il giovane Bill fu più facile del previsto mandare a casa - con lo slogan "It´s the economy, stupid" - "George I" che pure aveva vestito fino a pochi mesi prima i panni del "commander in chief" nella vittoriosa guerra del Golfo, in cui aveva unificato il mondo (Stati arabi compresi) contro Saddam Hussein.

Non cambiano le cose nel 1996 (bis di Clinton), quando la percentuale di incidenza della politica estera scende addirittura all´1 per cento, e neanche nelle contestate elezioni del 2000, quelle della Florida e della Corte Suprema, di Al Gore vittorioso nel voto popolare ma perdente in quello che contava veramente. Quattro anni fa la percentuale di interesse per i fatti internazionali e per il ruolo dell´America nel mondo era risalita leggermente (3 per cento) ma ancora talmente bassa che gli uomini di Bush parlavano di ritiro unilaterale delle truppe americane da alcuni luoghi caldi del mondo tipo i Balcani.

Poi c´è stato l´11 settembre e le cose sono radicalmente mutate. E´ nata la dottrina Bush, l´attacco preventivo, ci sono state le guerra in Afghanistan e quella in Iraq. Al Qaeda ha continuato a colpire, in Asia, Africa ed Europa, senza riuscire a colpire ancora il cuore degli Usa. La minaccia resta, per il ministro dell´Homeland Security Ridge e l´Fbi anche la Convention di Boston - come quella repubblicana di New York a fine agosto e le elezioni di novembre - era ad altissimo rischio e non ha molta importanza se ci sia negli allarmi anche un interessato allarmismo da parte della Casa Bianca. Quel che conta è che la gente, gli americani, le donne e gli uomini che il 2 novembre andranno alle urne, temono fortemente un nuovo attacco. Quello che conta, in chiave elettorale è la paura del terrorismo.

I sondaggi dicono che la politica estera è oggi l´argomento più importante per il 38 per cento dei votanti e che sulla guerra al terrorismo il ´gap´ che divide il candidato democratico da George W. Bush è ancora molto alto: si fidano molto di più del presidente (50 per cento contro 42), percentuale che scende di poco quando si parla della situazione in Iraq (48 contro 42).

Nella semplicità dei numeri la sfida che aspetta Kerry è chiara. Figura ancora troppo misteriosa per la maggioranza degli americani, ´Jfk II´ deve dimostrare da qui al 2 novembre che è sufficientemente ´strong´ per guidare l´America in una guerra contro Al Qaeda che può durare lunghi anni. Deve dire «chiaramente alla nazione - come gli ha chiesto ieri il New York Times in un editoriale critico - in che cosa le sue scelte si differenziano da quelle del presidente Bush, in particolare sulla guerra in Iraq».

Ieri sera Kerry ha provato a farlo. Ha posto il tema della sicurezza al centro del suo discorso, si è fatto presentare sul palco dall´uomo che gli deve la vita, l´ex berretto verde Jim Rassman, salvato da Kerry sul fiume Mekong in Vietnam. Ha detto di essere favorevole alle raccomandazioni fatte dalla "Commissione 11 settembre", cui se diventerà presidente prorogherà il mandato.

Se il messaggio avrà raggiunto il cuore (e la testa) degli elettori lo vedremo quando l´ennesimo sondaggio ci dirà l´impatto di questa Convention e di Kerry sull´opinione pubblica. In un paese in cui il 41 per cento dei giovani dice di avere fiducia quasi totale nell´esercito, contro il 31 che dice di averla nel presidente, il Kerry ´eroe di guerra´, i suoi commilitoni attorno ad elogiarlo, i 12 ammiragli e generali che mercoledì sera sono saliti sul palco per appoggiarlo, possono fargli guadagnare credibilità come ´commander in chief´. La guerra in Iraq, con tutte le conseguenze, resta però uno scoglio che il candidato democratico, il ´flip-flop´ come viene definito dalla campagna repubblicana per i suoi voti ambigui e contraddittori (nel 1991 votò contro la prima guerra del Golfo), non ha ancora superato.

Il suo staff gli ha consigliato prudenza, gli ha suggerito di non impegnarsi in dichiarazioni scivolose. Kerry sa che non può promettere nulla di quanto una parte dell´Europa vorrebbe sentirsi dire (a parte un maggiore coinvolgimento), sa che la guerra in Iraq sarà lunga anche con un democratico alla Casa Bianca e che forse dovrà inviare laggiù altre migliaia di soldati. Da qui a novembre avrà altri momenti importanti - i faccia a faccia con Bush soprattutto - per convincere gli americani che è l´uomo giusto nella sfida più importante.

Sullo stesso argomento

Articoli in archivio

L´America dei devoti non è arretrata, ma moderna e combattiva. Per fare proseliti usa blog e siti web
Il segreto dei militanti della fede vincere con le armi del nemico
di Simon Schama su The Guardian del 18/11/2004
 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0