Da Corriere della Sera del 29/07/2004

Patriottici, verdi, corretti: i democratici 2004

di Gianni Riotta

BOSTON - Come è facile farsi beffe del partito democratico che oggi ascolterà il discorso di candidatura di John Kerry. L’inno nazionale cantato da due ragazzi di una tribù di indiani d’America, mentre una delegata con le trecce, anche lei discendente degli indigeni sterminati nel West, piange commossa. L’oratrice che proclama alla sala semivuota «sono madre, professionista e lesbica». I ragazzini pacifisti di Howard Dean, che hanno lasciato i compagni a protestare fuori e portano nella caverna della Convenzione gli adesivi «No all'occupazione dell’Iraq», in barba alla piattaforma ufficiale «ci sono patrioti favorevoli alla guerra e patrioti contrari». I lobbisti siedono con le giacche italiane negli skybox, i palchi con vetrata a picco sulla platea, il bar e la ragazza che serve cocktail: «Son venuto la prima sera, una noia mortale, torno giovedì per prendere contatto con quelli di Kerry» digita al palmare elettronico uno snob.

Sindacalisti ostili alla globalizzazione, ecologisti preoccupati perché il partito è favorevole ai SUV, le auto fuoristrada ingorde di benzina, la massaia del Wisconsin con il cappello a forma di gruviera.

Sindaci di grandi città, Ted Kennedy che annoia la platea che un tempo infiammò, il giovane Barack Obama, padre nero, madre bianca, «bello come il golfista Tiger Woods» si illanguidisce una ragazza con la maglietta di Britney Spears.

Patriottici, verdi, politicamente corretti, uniformati da un plotone di scribi che censurano dai discorsi gli attacchi stridenti al presidente George W. Bush, ecco i democratici 2004. Svanite le divisioni tradizionali, «io non appartengo a nessun partito organizzato, sono un democratico» è battuta attribuita a Groucho Marx e Will Rogers. Il polemico regista Michael Moore, con in pugno un bicchiere di Coca-Cola da mezzo litro, siede con il premio Nobel Jimmy Carter, ma in piccionaia. Howard Dean, che dichiarava di essere l'ultimo campione «dell'ala democratica del partito democratico», ritorna a casa, figliol prodigo coccolato.

Questo è il partito che stanotte incontra John Kerry, arrivato ieri dalla baia, in traghetto con i suoi compagni d'arme. Una macchina da soldi che è riuscita a colmare il divario con i Paperoni repubblicani coinvolgendo feste di miliardari e studenti, di casa in casa col salvadanaio. Ma chi è John Kerry? Lo sanno i delegati che per lui rinunciano alle ferie e caricano sulle carte di credito i viaggi di propaganda? Lo sa il Paese che ne vedrà in tv la vita, dal collegio in Europa, al Vietnam, alle marce pacifiste, al Senato? Ancora no: Kerry, vinte di slancio le elezioni primarie, è un oggetto sconosciuto, ai suoi e agli avversari.

Qual è il suo piano per l'Iraq? Collaborare con Onu e alleati, va bene, ma per fare cosa? Chiederà di ratificare i trattati di Kyoto, il trattato per la non proliferazione nucleare e la Corte penale internazionale, o si schermerà dietro il no del Congresso? Cosa nascondono il suo volto malinconico, i discorsi formali, il passato eroico nel delta del Mekong? Le opinioni diverse, no alla prima guerra in Iraq, sì, con tanti se e tanti ma, alla seconda, no al pacchetto di spese militari, celano un opportunista o un leader capace di maturare? Il partito lo ama, perché odia George W. Bush. «Sai cosa è un "yellow dog democrat" - ride un vecchio consulente - un elettore così fedele da votarci anche se candidassimo un cane giallo. Kerry trova un partito dove siam tutti fanatici dei cani gialli pur di bocciare Bush». Ma lo amano come John Kerry? Lo sapremo oggi: il Paese ascolta gli appelli all'unità da Boston, ma resta diviso, 48% con Bush, 46% con Kerry. Da ogni convenzione arriva uno slancio, «bounce» lo chiamano i sondaggisti. Quanto grande sarà quello di Kerry? E.J. Dionne, editorialista del Washington Post , riassume «è come se il Paese si stesse stancando di George W. Bush e non sapesse innamorarsi di Kerry. Forse la trave repubblicana verrà giù d'un botto, divorata pian piano dalla termiti democratiche». Contano gli spot a raffica che Karl Rove, eminenza grigia di Bush, manda in onda senza soste, e che ritraggono Kerry come un incostante pasticcione.

Conta però anche il naturale riserbo e distacco che Kerry mette nell'azione politica e che gli è costato l'accusa di arroganza. Al punto che, quando dovette operarsi di prostata, scherzò «Sono andato a farmi togliere la ghiandola della freddezza». Non vuol vincere aggredendo Bush, vuol fare del voto di novembre un referendum sulla Casa Bianca, sì o no, con il rischio di risultare ignavo e perdere. Ecco perché i sondaggi non si muovono ancora.

Nessuna di queste preoccupazioni sfiora i ragazzi volontari di «Demzilla», la poderosa banca dati democratica con fascicoli elettronici su 158 milioni di elettori, persuasi che la base voterà compatta, e arriveranno abbastanza transfughi per vincere.

Digitano sulla tastiera e mandano la mail con l'ultimo sondaggio Annenberg: gli elettori incerti e indipendenti vanno schierandosi, 41% con Kerry, 27 con Bush. «E di solito il presidente ha a questo punto 10 punti di vantaggio che Bush si sogna».

Kerry ha lasciato il partito aperto, pur di non alienare nessun votante.

Stanotte deve evitare il rischio di apparire un qualunquista, sposato con una miliardaria, perdendo di misura contro Bush. La strategia è delineata dal discorso perfetto dall'ex presidente Bill Clinton: i repubblicani sono il partito che divide l'America, tocca a noi unirla. Spariti i toni che fecero dire al compassato settimanale New Republic «Odiamo Bush», Kerry parlerà di guerra, pace, riduzione dei consumi di petrolio, lavoro, alleati, senza entrare duro su Bush. «Demzilla» gli ha passato gli ultimi dati, «i sondaggi nazionali non contano, si vince in 17 Stati chiave». Bill Schneider, il più intelligente osservatore politico, conferma «Kerry è in rimonta tra gli incerti. Bush è vulnerabile in Arizona, Florida, Missouri, New Hampshire, Ohio e West Virginia». Ma la battaglia è durissima, su sei sondaggi presi in Florida, due vedono Bush in testa d'un soffio, due Kerry avanti di poco e due parità assoluta. La Casa Bianca 2004 potrebbe essere decisa da una piuma. Per questo a Kerry andrà l'ovazione di un partito dove lobbisti e radicali si abbracciano sapendo che ogni voto conta. Non alzerà i toni, spera di attrarre forbito la pattuglia di indipendenti indispensabile per la vittoria. Per scelte chiare, nuove idee, una visione strategica per l'America occorre attendere il giuramento del gennaio 2005 che Boston già pregusta, sicura di sé.

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