Da Corriere della Sera del 26/07/2004

L’altra America si ritrova a Boston con Kerry

Un Paese diviso come mai nella storia arriva oggi all’appuntamento con la «convention» democratica

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Un'America divisa come mai nella storia, in due parti quasi eguali, si reca oggi all'appuntamento con la sua sinistra moderata, il Partito democratico che le diede leader come Franklin Roosevelt e John Kennedy, alla «convention» di Boston. E' un'America polarizzata dalla guerra dell'Iraq, dal crescente divario tra ricchi e poveri e dalla messianica religiosità dell'amministrazione, dove il presidente Bush, che si presenta come l'erede di Ronald Reagan, riscuote il ferreo consenso della destra. I sondaggi lo vedono pressoché alla pari con l'antagonista John Kerry nel voto popolare, ma in vantaggio in quello dei grandi elettori, i rappresentanti dei 50 Stati che nel 2000 gli diedero la discussa vittoria sul vicepresidente Al Gore: secondo l' Associated Press , Bush oggi può contare su 217 di essi in 25 Stati, contro 193 di Kerry in 14, mentre 11 Stati, dalla Florida all'Ohio al Michigan, restano indecisi. E tuttavia, come rileva il Washington Post , alla «convention» in una Boston blindata, difesa dal terrorismo dagli F16 24 ore su 24, «c'è presagio di successo».

Tradizionalmente, quando uno dei due candidati è il presidente in carica, le elezioni sono un referendum su di lui. Ma Ted Devine, un sondaggista democratico, ammonisce che il Partito perderà se punterà solo sull'avversione alle politiche di Bush, esasperata da Hollywood e da film come «Fahrenheit 9/11» di Michael Moore. Su una mappa dell'America addita una vasta zona rossa, il colore dei repubblicani: «Chi vincerà le elezioni del 2004 - dichiara - le vincerà di strettissima misura, come quelle del 2000. Noi dobbiamo persuadere il Paese che Kerry è meglio di Bush».

Nei disegni di Kerry la «convention» della speranza dovrà dare una dimostrazione di unità senza precedenti del Partito e indirizzare l'America sul cammino di una società aperta. Martedì sera, parleranno dal palco del Fleet Center due degli sconfitti delle primarie, Howard Dean, il leader populista, e Richard Gephardt, l'uomo dei sindacati; il senatore Ted Kennedy, l'ultimo esponente della grande dinastia, e Baraci Obama, un nero dell’Illinois, candidato al Senato, simbolo del diritti civili e del rinnovamento; e Teresa Heinz, la moglie di Kerry. Mercoledì sarà la volta del numero due, il carismatico John Edwards, l'apoteosi di Kerry avrà luogo giovedì. Per quattro giorni, faranno loro da contorno i divi hollywoodiani, i cervelli degli istituti di ricerca e le università, le minoranze etniche, ispano-americana innanzitutto, che s'identificano nei democratici: «Il microcosmo - spiega Devine - della diversità americana».

Mentre Bush cede cavallerescamente il campo al rivale, riposando nel suo ranch nel Texas - ma invia a Boston l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani e lascia le azioni di disturbo da lontano al vicepresidente Richard Cheney - Kerry ed Edwards attraversano l'America in un estremo blitz. Il primo martella sul tema della «America che può», dello spirito delle nuove frontiere, il secondo su quello «Due Americhe» che nel 2000 Bush promise di unificare ma che si sono ulteriormente allontanate. E' la conferma che queste elezioni sono viste come un bivio tra l'America imperiale e liberista dei neoconservatori e l'America socialdemocratica ma forte dei neoliberal e dei centristi. Lo dimostra il record registrato dai finanziamenti elettorali: in due anni, Bush ha raccolto oltre 230 milioni di dollari, nella massima parte da Wall Street e dalle classi alte, ma in uno Kerry ne ha raccolti quasi 190, in maggioranza da singoli cittadini, e i gruppi che lo spalleggiano hanno fondi assai più ingenti di quelli che spalleggiano Bush. Per la prima volta dagli Anni Sessanta, il 2 novembre dovrebbe votare ben più del solito 50 per cento degli americani.

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